La scrittrice di origini bulgare Kapka Kassabova - Toni Davidson
Come ogni anno il settembre mantovano si apre con le voci di scrittrici e scrittori da tutto il mondo riuniti al Festivaletteratura, con più di 300 incontri in cinque giorni, da mercoledì 4 a domenica 8 settembre. Tra gli ospiti di quest’anno anche la scrittrice di origini bulgare Kapka Kassabova, appena uscita con Anima. Una pastorale selvaggia (Crocetti, pagine 444, euro 22,00), quarto e ultimo volume dedicato alle regioni balcaniche meridionali. Kassabova sarà protagonista di due eventi, entrambi alla Basilica Palatina di Santa Barbara: “L’Europa al confine” (sabato) e “Psicogeografia balcanica” (domenica). Dopo avere riflettuto sul tema dei confini (in Confine), avere raccontato il versante macedone della sua famiglia (Il lago) ed esplorato la tradizione erboristica bulgara che ancora sopravvive in Elisir, l’autrice in quest’ultimo libro del quartetto si concentra sulla catena montuosa del Pirin e sull’antico stile di vita dei pastori che la abitano, insidiati dal capitalismo e dalla modernità.
Il suo quartetto di libri ambientati nei Balcani esplora l’esperienza umana attraverso la storia, la geografia e i modelli ancestrali. Gli ultimi due libri del quartetto sono viaggi psicologici e fisici in un mondo più che umano. Elisir è un’immersione nella medicina vegetale e nel potere di guarigione della connessione amorosa, Anima un’odissea eco-soprannaturale con gli ultimi pastori transumanti d’Europa. Come è nata l’idea di questa serie di libri?
«È successo in modo organico. Non c’è stato un piano, ma una sorta di autoimpollinazione. Ogni libro è nato da quello precedente. Ripensandoci, credo che la forza trainante sia stata il crescente interesse per la vita naturale. Volevo imparare dalle persone che vivono nella natura. Tutto è iniziato con la mia vita in Scozia, quando mi sono trasferita dalla città alla campagna. Mi sentivo più libera e in qualche modo più grande dentro di me. Confine e Il lago sono gemelli, così come Elisir e Anima. Nel primo duo ho esplorato l’interazione tra politica e rete vivente. Il secondo duo va molto più a fondo e analizza come la rete vivente sopravviva a tutta la politica. Ho trascorso dieci anni in questi viaggi e ogni libro ha trasformato radicalmente la mia comprensione del mondo umano. In Elisir e Anima questa comprensione è culminata in una serie di intense esperienze in montagna, quando ho visto quanto l’essere umano sia transitorio e quanto sia importante per noi umani svegliarci e ricordare ciò che i nostri antenati sapevano: che senza la terra vivente non siamo nulla. E infine tornare a prenderci cura della terra e delle sue piante, degli animali e dei nostri stessi corpi e anime».
In Anima ha incentrato la sua ricerca sulle comunità di pastori che cercano di preservare antiche tradizioni di interdipendenza tra uomini e animali, contro la società moderna che con il capitalismo industriale e i cambiamenti ambientali sta mettendo in pericolo stili di vita antichi e sostenibili.
«Questo fa la natura selvaggia: ti mette faccia a faccia con la tua stessa natura. I tuoi limiti vengono messi alla prova. Ho acquisito una nuova comprensione di me stessa e un nuovo rispetto e ammirazione per le persone che ancora praticano la pastorizia. Non sono solo il passato, sono – credo – un futuro possibile, perché la pastorizia su piccola scala e umana è l’unica via sostenibile per il futuro, per gli esseri umani e per gli animali da pascolo. Si tratta di relazioni, di essere responsabili delle proprie azioni nei confronti della terra e dei suoi abitanti».
Con il cambiamento climatico ci stiamo muovendo sempre più rapidamente verso nuove forme di migrazione. Come pensa sarà il futuro in questo senso?
«Il futuro è già qui. Mentre la Terra si muove, anche noi ci muoviamo con lei. Mentre la Terra continua ad attraversare cambiamenti cataclismatici, lo faremo anche noi. E ricordiamoci che ciò che chiamiamo cambiamento climatico è molto più che atmosfera e tempo atmosferico. Questo è un motivo in più per prendersi cura della terra vivente ed esistere in armonia con essa, invece di sostenere lo stile di vita industriale-militare voluto dalla plutocrazia globale. Dobbiamo pensare in modo radicale, e una delle verità radicali è che la nostra civiltà è condannata se non iniziamo a de-crescere tutto e a fermare ogni ulteriore crescita industriale. Dobbiamo tornare a pensare che il piccolo è bello, che il locale è sufficiente, che il naturale batte l’artificiale e che questo pianeta è abbastanza buono per noi. Credo che nei prossimi decenni assisteremo – e sperimenteremo – un maggiore caos, e avremo bisogno di resilienza, compassione, di abbandonare le nostre abitudini di consumo eccessivo di cibo ed elettricità e di pensare in modo creativo per poterci sostenere a vicenda in nuovi tipi di comunità».
Cosa significa per lei viaggiare? E l’appartenenza?
«Viaggiare significa essere in mezzo ai luoghi e io desidero essere profondamente in un luogo, come in un sogno lucido. Ho il bisogno di entrare nella pelle di un luogo, di cadere nell’incantesimo della valle di un fiume o di una montagna, di iniziare a conoscere la gente e di sentirmi parte di quel luogo. Succede con ogni libro. È molto difficile dire addio e mi affeziono molto. Ecco perché questi quattro libri sono poesie d’amore per un luogo. Ho imparato, per esperienza, che si può appartenere, ma non è permanente. Niente lo è. Questa vita preziosa è transitoria e non possediamo nulla. Per questo dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri e della nostra grande madre, la Terra».
Lei dice che la nostra tragedia è la frammentazione. Come si può trovare una riconciliazione? Anche spirituale.
«Per me la riconciliazione può avvenire solo quando si apre il cuore. Prima di tutto, il cuore deve aprirsi e devi piangere molte lacrime di dolore per te stesso e per i tuoi compagni umani e animali. Oggi tutti abbiamo il cuore spezzato, per un motivo o per l’altro. Sfruttiamo questa opportunità e apriamo i nostri cuori. Sentiamo di più, abbiamo meno paura e ci rendiamo conto che siamo davvero tutti sulla stessa barca. Trovo che stare vicino alla natura aiuti. Poi si dimentica l’ego e l’ossessione del “me e il mio”, attorno alla quale ruota la nostra cultura. È un veleno. Cerchiamo ciò che è nutrimento per il nostro corpo e la nostra anima, non veleno. Credo che lo riconosciamo quando lo vediamo».
Si sente una scrittrice di luoghi?
«I luoghi sono il grande amore della mia vita. Immergersi in un luogo che all’inizio era strano e alla fine era intimo, è una grande gioia, è come una grande relazione. Incontri qualcuno, sei attratto da lui, lo conosci nel tempo e il tuo amore e la tua compassione per lui crescono. Non è sempre facile, ma è profondo e soddisfacente. Poi si deve dire addio. Ma si porterà sempre quella persona o quel luogo dentro di noi».
Nel libro spiega l’etimologia della parola “anima”, ovvero «ciò che è dotato di respiro, spirito e vita». Ma cos’è anima per lei?
«L’anima è ciò che non muore mai. In questo senso, è come l’amore».