Vasilij Kandinskij, “Improvvisazione 11”, 1910 - .
Lo spiritualismo distillava i suoi umori un po’ dovunque in quei primissimi anni del secolo scorso. Il mondo usciva dall’ubriacatura di cieca fiducia nella ragione scaturita dal positivismo, che nell’arte aveva sì dato vita al ruscello luminoso dell’Impressionismo, nutrito da una fede assoluta nelle capacità percettive della retina, ma che aveva anche generato il fiume limaccioso del realismo dolciastro da Salon. Kandinskij fu tra i primi a teorizzare la svolta spiritualista, nel suo testo pubblicato nel 1911 e intitolato proprio Lo Spirituale nell’Arte.
«L’anima – scriveva – sta per destarsi dopo l’incubo delle concezioni materialistiche, e l’arte ritroverà ben presto quel ’fermento spirituale’ che ne propizierà il risveglio. La conoscenza del mondo, nell’artista, deve essere di natura istintuale ed emozionale e ciò che prima era affidato all’occhio ora si abbandona al flusso dell’emotività: la nuova arte si propone infatti di registrare non la realtà, ma la sua risonanza interiore». Strumento primo di questa nuova forma di espressione è il colore, che lui, appassionato musicista, associa ai suoni («il giallo-limone squillante dopo un po’ fa male all’occhio, così come una tromba che emette suoni alti ferisce l’orecchio »), ma che lega anche alle forme, capaci, a suo dire, di potenziarne il timbro: «i colori acuti si potenziano quando sono uniti a una forma acuta (ad esempio il giallo associato a un triangolo).
Kandinskij si metteva a scrivere Lo spirituale nell’arte nel 1910. E proprio del 1910 è la magnifica Improvvisazione n. 11 (titolo preso a prestito dalla musica) dove, appunto, una grande vela triangolare di un aspro giallo-limone rappresenta il fulcro dell’intera composizione: opera fondamentale che insieme a lavori iconici dello stesso periodo ( Una gita in barca, Non oggettivo, Macchia nera) e a numerosi altre capolavori, a un corposo nucleo di grafiche e a una ricca documentazione (libri, fotografie, filmati), è stata confezionata la mostra Vasilij Kandinskij. L’opera - 1900-1940 (catalogo Silvana) allestita a cura di Paolo Bolpagni e Evgenia Petrova a Palazzo Roverella a Rovigo (fino al 26 giugno).
Gli esordi dell’artista sono rappresentati da alcune piccole opere di venti-trenta centimetri del primissimo Novecento, già giocate su colori vividi e accesi. Poi ecco le tele di Murnau e del 'Cavaliere Azzurro', intorno alle quali gravitano i dipinti degli artisti che con Kandinskij esponevano in quegli anni, in cui le forme ancora riconoscibili si sposano a una tavolozza di delirante intensità e le immagini elementari sono attinte dal grande serbatoio della cultura popolare russa che la mostra documenta in apertura del percorso espositivo. Il primitivismo come libertà d’espressione, che Gauguin aveva cercato in Bretagna e nei mari del Sud, che Picasso e Derain avevano trovato nella scultura africana e Modigliani in quella khmer, per i russi era lì, a portata di mano, nelle isbe contadine dove erano appese le icone, nei legni dipinti, in quella tempesta di colore da cui Kandinskij aveva detto di essersi sentito quasi aggredire, entrando nelle povere case di campagna.
Vasilij Kandinskij, “Sottile e macchiato flessibile”, 1931 - .
È la stessa sensazione che Kandinskij deve avere provato quando a Monaco, nel gennaio del 1911, ascoltò per la prima volta un concerto di Arnold Schonberg rimanendone folgorato: diceva di sentire in quella musica «aria di altri pianeti» e proprio sotto l’effetto di quei suoni dipinse Impressione III. Concerto. Artisti teorici entrambi (più o meno in contemporanea con la pubblicazione dello Spirituale nel-l’arte esce la Teoria sull’armonia di Schonberg), entrambi grandi sperimentatori (se uno in quegli anni approda all’astrattismo, l’altro giunge all’atonalità), entrambi studiosi di teosofia, rimarranno amici per anni. Dopo aver dedicato una sezione a questo sodalizio, a conferma di una lettura critica non scontata che l’esposizione permette, ecco un Kandinskij poco noto, quello figurativo e paesaggistico del 1918.
Nello stesso periodo in cui dipingeva opere composte solo da linee e colori, lui eseguiva anche delicati quadretti su vetro con scene d’interni, cavalli volanti, colline che si specchiano nell’acqua, lavori che avresti datato all’inizio del secolo, prima dell’astrattismo. Il Kandinskij astratto, tuttavia, prende subito il sopravvento e attorno agli anni Venti nella sua pittura diventa predominante la geometrizzazione (si veda Croce bianca del 1922 proveniente dalla collezione di Peggy Guggenheim) che inizialmente era solo accennata. Questa nuova stagione trovò una definitiva consacrazione di lì a poco, favorita anche grazie al terreno culturale fertile e al giusto clima intellettuale che vigeva al Bauhaus, l’istituto fondato da Walter Gropius a Weimar, dove l’artista si recò a insegnare.
I dipinti di questo periodo sono caratterizzati - rileva Bolpagni «Da una evidenza sempre maggiore accordata a singoli elementi come il cerchio, l’angolo e le linee curve e rette, nonché dalla preferenza per cromie fredde», opere che vanno ordinandosi in un geometrismo sconosciuto fino ad allora e i colori e le linee perdono la gioia del canto corale per farsi voci isolate. Le opere dell’ultima fase del Bauhaus assumono una caratterizzazione più fantasiosa, vicina all’immaginario di Paul Klee ( Lunatica, 1930), preannunciando i lavori degli anni parigini gremiti di organismi monocellulari (Nodo rosso, 1936) riconducibili al mondo surrealista di Breton e alle forme biomorfe di Mirò. Sembrano frutto di una istintiva effusione poetica, ma a ben vedere, come in uno spartito, seguono regole ben precise.