sabato 30 marzo 2024
Clamorosa manifestazione di protesta contro l'assoluzione di Acerbi per le accuse di razzismo: dissociandosi dalla campagna della Lega, la squadra si inginocchia prima della partita con l'Atalanta
La squadra del Napoli in ginocchio prima della partita del Maradona contro l'Atalanta

La squadra del Napoli in ginocchio prima della partita del Maradona contro l'Atalanta - Reuters

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In ginocchio per Juan Jesus nel sabato che precede la Pasqua. Il gesto più eloquente e simbolico, a compendio di una vicenda che ha turbato gli animi di un mondo del calcio sempre più tormentato dentro e fuori i rettangoli di gioco. Così prima di Napoli-Atalanta alla stadio Maradona l'intera squadra azzurra (oltre all’undici in campo anche la panchina con gli altri giocatori e i dirigenti) si è inginocchiata sul prato verde in segno di protesta durante l'inno della Lega di serie A. Era la prima partita di campionato dopo l'assoluzione dell’altro giorno dell’interista Francesco Acerbi nel processo seguito all'accusa di presunti insulti razzisti nei confronti di Juan Jesus nella partita al Meazza nella precedente giornata di campionato.

Una protesta contro il razzismo, ma anche contro il “sistema”. Il Napoli - come preannunciato con il perentorio comunicato del club dopo la sentenza del giudice sportivo - non ha infatti voluto aderire alla campagna della Lega contro il razzismo, non recando sulle proprie maglie la scritta "Keep racism out". Essersi inginocchiati è stata invece la dirompente manifestazione di una sorta di “campagna” autonoma. La protesta è certamente forte, quella del “black lives matter” (letteralmente "Le Vite Nere Contano") nata nel 2016 nel Football Usa, e arriva due minuti prima del fischio d'inizio.

Gli atalantini restano in piedi, in inconsapevole e incolpevole apparente “disaccordo”. Sugli spalti del Maradona il pubblico partecipa in modo corale alla protesta. Prima della discesa in campo dei giocatori c'era stata poi l'iniziativa del Napoli "Urliamo tutti No al razzismo!" con l'attore e regista Marco D'Amore che al microfono aveva detto: «Troppo hanno visto i nostri occhi, troppo hanno sentito le nostre orecchie, ma non è più questo tempo indifferenza e noncuranza. Napoli, fai sentire la tua voce senza vergogna, paura, diciamo uniti insieme no al razzismo». Vicino a D'Amore c'era Mohamed Seick Mane, uno dei calciatori delle giovanili del Napoli.

Purtroppo, però, quel “no” al razzismo, al Maradona, non è stato gridato fino in fondo all’unisono perché poco dopo in ginocchio c’era soltanto una parte, che ha deciso di smarcarsi dal restante mondo del calcio. Una protesta che sembra forse comprendere anche altro, una sorta di pregresso generale malcontento socio-culturale. Una rivalsa anche meta-calcistica. Per torti e soprusi forse antichi, per i quali il calcio è stato alcune volte il terreno di riscatto e rivincita.

Nell’autonoma protesta del Maradona c’è forse anche la delusione per il flop in campionato (che lo 0-3 patito anche oggi sancisce) che ha impedito al Napoli di confermarsi grande dopo lo scudetto vinto l’anno scorso. Frustrazioni che forse impermalosiscono una piazza e un popolo, che tale si sente. «Non sono d'accordo con la decisione del Napoli di non seguire la Lega Serie A sul tema del razzismo. Io credo che le divisioni non facciano bene a nessuno. Dobbiamo essere uniti su un tema così importante», ha commentato l’ex giocatore del Napoli Giuseppe Incocciati, grande amico di Diego Armando Maradona. E di Napoli.

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