domenica 16 luglio 2006
Figlio di un sarto, il sassofonista americano nacque il 23 settmbre 1926. Si spense a 40 anni dopo aver fatto la storia
John Coltrane

John Coltrane - Archivio

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È il 23 settembre 1926, Hamlet, North Carolina. Stringendo a sé il primogenito appena nato, Robert Coltrane, sarto di professione e musicista per diletto, forse pensava anche come trasmettergli l'amore per le sette note. E sarà rimasto probabilmente deluso quando il piccolo fu escluso dal coro della chiesa: perché stonato. Eppure oggi, ottant'anni dopo, suo figlio John Coltrane fa parte della storia della musica. Anzi, è stato detto con enfasi, «dopo di lui solo il deserto, all'orizzonte non appaiono eguali messia».

John Coltrane ha in effetti stravolto la storia del jazz, stimolandone sperimentazioni armoniche ed innervandola di afflati spirituali. Era un bambino - ricordava la cuginetta - «dispettoso e caustico, ma riflessivo». E così sarebbe rimasto, nel corso di una carriera purtroppo breve ma ricchissima di album ed idee. Sarebbe rimasto cioè «dispettoso» verso schemi ed etichette, ma pronto ad azzittirli con idee per nulla banali: non solo musicalmente. Oggi considerato re assoluto del sassofono, Coltrane iniziò come clarinettista nella Marina Usa di stanza alle Hawaii durante il secondo conflitto mondiale. Ma Lester Young e Johnny Hodges, i maestri del sax dell'epoca, lo avevano già stregato. E il suo debutto vero fu a Philadelphia nel 1948, da sassofonista, con Dizzy Gillespie e poi il suo idolo Hodges. Prima che egli lo licenziasse, almeno.

C'era però un motivo per questi esordi bizzarri e senza fortuna. «Fino a quando non ho incontrato Miles Davis ? disse infatti l'artista stesso ? in realtà non suonavo sul serio. Vivevo come nel buio accontentandomi di fare quello che mi chiedevano, senza aggiungerci nulla di mio».

L'incontro con Davis, avvenuto nel 1955, fu decisivo: anche se questi era un uomo ai limiti del cinismo e Coltrane iniziava proprio allora ad interessarsi di spiritualità, la loro unione, che peraltro durò pochissimo, gli rivelò come sviluppare il proprio talento di solista e gli preparò la strada per farsi conoscere come autore. Un autore rivoluzionario. Perché «il jazz - scoprì allora - è espressione in musica degli ideali dell'uomo»: e fu per mettere in pratica questa aspirazione che Coltrane si creò un gruppo, sperimentò, incise, approdò alfine nel 1964 ad A love supreme, storico album che si narra gli apparve in mente, come già pronto per essere inciso, durante una meditazione. La prima moglie confermava: «era radioso, parlava di musica avuta in dono».

Anche dopo il successo Coltrane rimase lontano dagli stereotipi: fu uno dei pochi artisti di grido ad aiutare i giovani e proseguì le proprie meditazioni in musica. Abbinando composizioni fuori da ogni regola a ricerche per una musica universale: in Om anticipò la world music, in Peace on Earth utilizzò il jazz come veicolo di messaggi di fratellanza. Purtroppo si accorse tardi del tumore al fegato che lo finì, il 17 luglio 1967, a neppure 41 anni.

Eredi? Forse un «messia» non poteva averne, se non quel Pharoah Sanders di cui egli stesso lasciò detto «ha uno spirito vicino al mio». Però ottant'anni dopo Coltrane c'è ancora: con dischi di assoluta bellezza, assoli irripetibili e quella spiritualità artistica inedita sintetizzabile nella magnifica frase «vorrei essere una forza del bene contro il male che c'è nel mondo». E la sua lezione per i giovani resta decisiva quanto semplice: «Ci sono sempre nuovi suoni da immaginare, dobbiamo dare a chi ci ascolta il meglio di noi». Robert Coltrane, il sarto di Hamlet, se n'era andato nel 1938: però ? c'è da giurarlo ? sarebbe stato orgoglioso del suo piccolo John. Quello che era troppo stonato per il coro della parrocchia.

La moglie e il figlio ne tramandano la memoria: concerti, inediti e riedizioni

Anche se è vero che l'unico erede riconosciuto di Coltrane resta Pharoah Sanders, peraltro discusso per i suoi alti e bassi, si potrebbero citare pure Wayne Shorter, Archie Sheep, Branford Marsalis. Ma l'eredità di «Trane» è per lo più spirituale: la si trova nel pianismo di ricerca di McCoy Tyner e nelle scelte della stessa famiglia Coltrane. Dalla seconda moglie Alice (pianista con lui dal '66), di recente tornata sulle scene nonché anima della Coltrane Foundation per i giovani artisti, al figlio Ravi, anch'egli sassofonista, che dice di sé «voglio fare musica onesta, che non segua le mode ma testimoni chi sono e come mi evolvo».

Ravi ha anche curato ristampe ed inedite incisioni live del padre: perché è proprio John Coltrane, in fondo, il più grande erede di sé stesso. «My favorite things» brano del secolo, «Bye bye blackbird» assolo d'ogni tempo, i suoi capolavori conosciuti da tutti. Da voi no? E le musiche usate nei film «Malcolm X» o «Jerry McGuire» o nei serial «Er», «NYPD» o «Bill Cosby Show» di chi sono, allora?

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