Dieci azzurri, per undici irlandesi, potevano bastare. E consentire all’Italia di prendere il volo con discreto anticipo verso il Mondiale sudafricano. E invece la banda azzurra è crollata sul traguardo, spossata da 90 minuti corsi con l’handicap e da un paio di scelte del suo commissario tecnico. Trap ringrazia e magari, alla fine, trova modo pure di recriminare per le occa- sioni sprecate nella residua fetta di partita seguita all’1-1 che, tuttavia, lo tiene in corsa per la qualificazione diretta dopo una gara caratterizzata da un calcio old italian style. Per lo spettacolo bisognerà ripassare, magari sperando in un improbabile sdoganamento di Cassano. L’illusione di Bari di potere applaudire, in extremis, il suo figlioccio è durata lo spazio di un pesce d’aprile, ordito dal Tg2. L’eversore Lippi si sorbisce prima dell’avvio la prevista razione di fischi. Escluso Giuseppe Rossi, in attacco, a fianco di Pazzini, c’è il centurione Iaquinta. Lo scherzo di cattivo gusto lo perpetra invece l’arbitro Stark, ai danni di Giampaolo Pazzini. La gara del ritrovato bomber doriano, alla prima da titolare in azzurro, dura 4 minuti netti. Il tempo per subire un’entrata pericolosa e impunita di Kilbane e di contendere a O’Shea una palla alta a metà campo. Quando i due si rialzano, l’irlandese sanguina dall’arcata sopraccigliare. Stark, che non ha visto il contrasto, si limita a compiere una semplice operazione di algebra arbitrale: sangue uguale gomitata, mano al cartellino rosso e fuori il centravanti azzurro. Un’ingiustizia che l’Irlanda contribuisce rapidamente a sanare tramite la pochezza tecnica e tattica di gran parte dei suoi elementi: primi fra tutti gli esterni di destra McShane e Keogh, infilati come piccioni dallo spiedo di Pirlo e Grosso: il primo suggerisce, il secondo confeziona l’assist giusto e Iaquinta, solo a 5 metri dalla porta, infila Keane (10’). Il Giuann Trapattoni ha di che mettersi le mani nei canuti capelli. In 11 contro 10 e sotto di un gol, la sua squadra appare palesemente incapace di creare gioco, l’unica arma è quella del fisico, delle spallatone delle punte Doyle e Folan. Un armadio, quest’ultimo, buttato nella mischia dal decano dei mister italiani per consentire all’ex-interista Robbie Keane di arretrare e di tentare di lavorare qualche pallone decente per i gregari. I suoi sono i piedi più delicati della banda della verde isola: ma né lui, né tantomeno i meno dotati compagni sono in grado di saltare l’uomo, di rendere ancora più complicata l’inferiorità numerica degli azzurri, a cui basta mantenere le posizioni nel 4-4-1 ridisegnato da Lippi (Pepe sulla linea dei centrocampisti, Iaquinta unica punta) per non trovarsi in apnea. Il ct, però, concede il destro alla povera Irlanda con due mosse da trapattoniano doc: dall’inizio della ripresa, fuori Pirlo e dentro Palombo. Poco dopo, Dossena rileva Pepe, apprezzabile nel continuo andarivieni tra centrocampo e attacco. Indietro tutta, dunque, solo corsa e muscoli per controbattere la fisicità degli ospiti. Hunt, che aveva già dato notizie di sé nel primo tempo, è il primo a capire che qualcosa è cambiato: e pronti via si procurerebbe un rigore (uscita in ritardo di Buffon). Il metro di Stark, per nostra fortuna, non è cambiato: lontano dall’azione, non vede nulla nemmeno in questo caso (56’). Il cronometro avanza parallelamente alle linee irlandesi, sempre più alte: per noi, spazi per contropiedi nemmeno tentati, visto che Iaquinta -generoso come un Graziani d’antan- è diventato un eremita in azzurro. Finisce così che a due soli minuti dal termine, l’ennesima palla sporca in area azzurra viene capitalizzata da Robbie Keane. Il Trap non esulta, anche se dentro ha probabilmente un vulcano: perdere proprio da Lippi con il metodo della casa sarebbe stato davvero troppo.