L’allestimento del “Sant François d’Assise” di Messiaen che debutterà ad Amburgo il 2 giugno - Bernd Uhlig
Francesco, san Francesco d’Assisi, oggi sarebbe in mare, sulla nave di una qualche ong a salvare vite. Oppure, insieme al climatologo Mojib Latif, si chiederebbe come fermare il surriscaldamento globale. E ancora, abbraccerebbe i “lebbrosi” di oggi – senzatetto, nuovi poveri, disoccupati, malati di solitudine – nel bus attrezzato a doccia che sta davanti alla stazione ferroviaria di Altona, ad Amburgo. Sarebbe… Oppure, meglio dire, è. «Perché sono tanti i Francesco di oggi, li possiamo incontrare quotidianamente nelle strade delle nostre città». Francesco, san Francesco d’Assisi, oggi « è un sacerdote, un ambientalista, un volontario che assiste i moribondi, un giovane, uno scienziato, un musicista, un senzatetto, un soccorritore… » dicono convinti Kent Nagano e Georges Delnon, direttore e regista del Saint François d’Assise di Olivier Messiaen, kolossal che il compositore francese scrisse ispirandosi alla vita del santo – dalla chiamata alla morte in un racconto serrato, carnale e intriso di vita, che è tutt’altro che un “santino” – che va in scena domenica all’Elbphilharmonie di Amburgo, appuntamento clou dell’Internationales Musikfest Hamburg.
Occasione rara di vedere e ascoltare dal vivo il Saint François d’Assise – avrebbe dovuto approdare una decina di anni fa al Teatro alla Scala diretto da Esa-Pekka Salonen, progetto con la regia dell’artista austriaco Hermann Nitsch dell’allora sovrintendente Stéphane Lissner in coproduzione con la Bayerische Staatsoper di Monaco (dove andò in scena nel 2011, diretta anche lì da Nagano), ma poi non se ne fece nulla. Saint François d’Assise «che non è un’opera, né un oratorio, è qualcosa che Messiaen chiamava, nel senso di Berlioz, “spettacolo”, evento musicale che si guarda, che si segue anche con gli occhi» riflette, alla vigilia della prima, Nagano, che nel 1983 era a fianco del compositore francese nella preparazione della prima assoluta del Saint François. «Mi parlò la prima volta della partitura, che gli fu commissionata negli anni Settanta, nel 1981. Riflettemmo a lungo e poi seguii la produzione sino alla prima del 28 novembre 1983 all’Opera di Parigi» ricorda Nagano, oggi generalmusikdirektor di Amburgo, direttore che più di ogni altro ha messo sul leggio l’unico titolo operistico di Messiaen. «Non è stata una rottura radicale con la grande tradizione classica, tanto che questa partitura è diventata parte della storia musicale vivente e una parte essenziale del nostro repertorio. La musica di Messiaen – ricorda il direttore statunitense, classe 1952 – si distingue per il fatto che va oltre la percezione del mondo, che di solito avviene in tre dimensioni, e si spinge in una quarta o addirittura quinta dimensione. Ci sono molte grandi opere d’arte, ma non molte possiedono questa dimensione spirituale, una dimensione che si apre all’intero universo. Nei capolavori di Messiaen, e ne ha creati molti, questa spiritualità è sempre presente e raggiunge immediatamente il pubblico».
Una partitura intrisa di sacro. «Troppo spesso dimentichiamo che la musica di Bach o Haydn non esisterebbe senza la religione, senza il riferimento al divino. Per Messiaen l’ispirazione non era qualcosa di scontato. Può avere origini molto diverse, ma l’ispirazione di Messiaen, la sua forza artistica, deriva direttamente dalla sua religiosità, come lui stesso ha detto» riflette oggi Nagano, ricordando che «Messiaen confidava nel fatto che le persone che ascoltavano la sua musica avrebbero reagito con la propria esperienza di vita, con il loro mondo spirituale ed emotivo. Il linguaggio della sua musica è molto personale e lui si aspettava che la sua risonanza nelle persone fosse altrettanto personale». Fedele al testo di Messiaen, Nagano, perché, «il compositore voleva che la sua musica fosse realizzata esattamente come l’aveva scritta. Rifiutava tagli o modifiche. Metteva tutta la sua esistenza nella musica e si aspettava che anche gli interpreti investissero tutta la loro energia». Protagonista, nei panni del santo di cui papa Bergoglio ha voluto prendere il nome, il baritono Jacques Imbrailo. L’Ange è Anna Prohaska mentre accanto alla Philharmonisches Staatsorchester ci saranno l’Audi Jugendchorakademie e l’ensemble LauschWerk.
Il direttore Kent Nagano - Bernd Uhlig
Oltre 300 artisti per un kolossal di cinque ore e un quarto «e la sfida, tanto per i musicisti quanto per il pubblico, è di mantenere la concentrazione per un tempo così lungo» dice Nagano. Domenica si inizia alle 17 (repliche il 6 e il 9 giugno) nella cornice dell’Elbphilharmonie, la sala da concerto (bellissima) che si affaccia sull’Elba, acustica perfetta, inconfondibile nella sua architettura con la base in mattoni del vecchio magazzino su cui la struttura poggia e le vele in vetro che riflettono il cielo della città tedesca. Trasformata, l’Elbphilharmonie, in un palcoscenico «dove il pubblico sarà immerso nella musica di Messiaen per essere parte di un insieme più grande e vivere quest’opera come un’esperienza comunitaria intensa » racconta Georges Delnon, direttore artistico della Staatsoper di Amburgo che co-produce lo spettacolo insieme all’Elbphilharmonie e alla Philharmonisches Staatsorchester Hamburg. Scene di Thomas Jürgens, costume di Julia Mottl. «La sala è attraversata da passerelle su cui avviene l’azione mentre Anna Prohaska, che è l’Ange, volerà sul pubblico, proprio come un angelo. L’intero spazio verrà progressivamente trasformato da luci, video mapping e proiezioni di Stefan Bolliger.
Al centro un grande led wall circolare rimanderà le immagini dei tanti san Francesco di oggi» anticipa Delnon che ha lavorato alla drammaturgia con Janina Zell e Ralf Waldschmidt. Mentre Nagano dirigerà la musica di Messiaen sul led wall scorreranno le immagini del video di Marcus Richardt «che abbiamo girato a bordo della nave Sea-Watch 5 in Sicilia, nello studio del climatologo Mojib Atif, nel convento di Assisi, ma anche ad Amburgo, in un hospice, sull’autobus doccia per senzatetto che è parcheggiato alla stazione ferroviaria di Altona» spiega il regista. Chi è Francesco e dove ritroviamo i suoi insegnamenti nella società di oggi? la domanda dalla quale Nagano e Delnon sono partiti nel loro lavoro di preparazione del Saint François «per mostrare san Francesco nel contesto della società contemporanea. Messiaen ha esplorato profondamente la relazione tra l’uomo, Dio e la creazione. Ha voluto raccontare la connessione tra società e natura e le tensioni che ne derivano. Come ha fatto Papa Francesco nella sua enciclica Laudato sì ispirata proprio al santo di Assisi» racconta il regista. Uno spettacolo «dove le questioni ambientali e il cambiamento climatico, in particolare, sono temi presenti ». Attraverso le immagini. E attraverso la musica.
«Che è linguaggio, comunicazione. Immediata. Da restituire evitando il rischio che l’esecuzione diventi meccanica» riflette Nagano per il quale «nella partitura ci sono passaggi estremamente virtuosistici, molto difficili da eseguire, che, però, devono suonare del tutto naturali, perché sono riflessi della natura. Quando ascoltiamo il canto degli uccelli nel bosco, è la polifonia, la complessità, a colpirci. In partitura ci sono sempre almeno tre tempi simultanei che devono essere organizzati per non suonare caotici, ma soprattutto per riflettere la tessitura naturale di ciò che si sente nel bosco o in montagna. Per persone come me, cresciute in campagna, questo è del tutto naturale: non c’è mai assoluta tranquillità, anche quando apparentemente non si sente nulla, c’è sempre una tensione. Ogni silenzio è denso. Realizzare questo – conclude Nagano – richiede qualcosa di più che suonare in modo virtuoso e preciso. Richiede l’anima. E solo quando ci sono contemporaneamente libertà e flessibilità, la musica allora suonerà come la intende Messiaen».