«Genova mi dicono che è sempre a rischio alluvione. Mentre parliamo [martedì scorso,
ndr] Chiavari (la città dei “cugini” della Virtus Entella) è sott’acqua, così come Carrara... Anche noi del calcio dobbiamo fare qualcosa per questa gente che ha perso la casa e che sta soffrendo per la natura che si “ribella” all’uomo». Chi parla non è il capo della protezione civile, ma un allenatore di calcio. È il messaggio in bottiglia che il 43enne tecnico croato Nenad Bjelica, lancia dal mare che bagna La Spezia. Una città finora a riparo dalle esondazioni che sfaldano la Liguria – e non solo –, un porto calcistico felice, in cui grazie alla sua sagacia tattica, le aquile bianconere del Picco (i nipotini dei Vigili del Fuoco dello scudetto – mai riconosciuto dalla Figc – del 1944) volano. Spezia seconda forza della Serie B, dietro alle mine vaganti Carpi e Frosinone. Bjelica è l’unico allenatore straniero nel «campionato degli italiani, il 75% sono ragazzi dei nostri vivai», è il mantra del presidente della Lega di Serie B, Andrea Abodi. Mister Nenad è un pragmatico, come i suoi maestri di campo: «Aragones che ho avuto al Betis Siviglia e Gerets al Kaiserlautern, dove per tre anni e mezzo ebbi l’onore di giocare assieme a Miro Klose, uno a cui darei il Pallone d’Oro alla carriera, un vero campione del mondo di professionalità». Ricordi del centrocampista offensivo, anche della nazionale croata (9 presenze tra il 2001 al 2004) che alle spalle ha già un settennale di praticantato vincente in panchina. «Nella stagione 2007-2008 ero allenatore-giocatore del Kärnten, serie B austriaca. Poi senza presunzione, credo di aver compiuto un paio “miracoli” calcistici...». Ha portato il Wolfsberger dalla C alla serie A austriaca e guidato l’Austria Vienna per la prima volta nella fase a gironi di Champions. «Abbiamo battuto lo Zenit San Pietroburgo di Spalletti 4-1... – si ferma e sorride –. Il loro Hulk, costato 60 milioni di euro, valeva quattro volte tutta la mia rosa, eppure abbiamo fatto 5 punti arrivando a un passo dagli ottavi». Risultati importanti che non sono sfuggiti all’occhio attento dell’ambizioso patron dello Spezia Gabriele Volpi che ha seguito il consiglio del suo socio, Damir Miskovic (presidente del fiumano Rijeka): «Puntiamo su Bjelica!». Una scommessa che in campo sta dando i suoi frutti e un gioco che piace al pubblico, offensivo quanto quello di Zeman. «Con il tecnico boemo condividiamo la “pressione alta” e l’intensità», dice il mister poliglotta: «Parlo spagnolo, inglese, tedesco e italiano. E senza presunzione, ma avendolo studiato cinque anni a scuola, se andassi due mesi a Parigi possederei anche il francese». Terminate le superiori, «ho fatto studi economici», ha lasciato la natia Osijek per sfuggire alla guerra della ex Jugoslavia. «Sono andato in Istria e poi in Germania. Il calcio mi ha salvato dalle bombe di quella guerra la cui scintilla scoccò un anno prima su un campo di calcio...».Era il 13 maggio 1990, allo stadio Maksimir di Zagabria scontri furibondi in campo e sugli spalti tra i giocatori e gli ultrà dei padroni di casa della Dinamo e quelli della Stella Rossa di Belgrado. «L’immagine di Zvonimir Boban che lotta contro il poliziotto è diventato il simbolo della resistenza croata. Suker e Prosinecki sono stati grandi giocatori, Boban è un eroe nazionale. Mi farebbe piacere se un giorno di questi venisse a dare un occhio e a parlare ai miei ragazzi dello Spezia». Un gruppo zeppo di giovani italiani interessanti classe ’93-’94 (De Col, Cisotti, Galardini, Acampora). Poi c’è il bomber, il 25enne Catellani (6 gol segnati) una decina di stranieri compresa la colonia croata composta Šitum, Datkovic, Miloš, Canadija, Culina e Brezovec. «Troppi stranieri che portano via il posto ai vostri ragazzi? Nella mia squadra c’è uno straniero titolare che percepisce un terzo dello stipendio di un compagno italiano che non gioca quasi mai. Quando faccio la formazione non guardo mai il passaporto. Ai miei calciatori chiedo solo di essere “speciali” in campo e se è possibile anche fuori, perché sono ben pagati e rispettati, e alla gente devono ridare indietro rispetto ed educazione». Valori appresi e trasmessi prima di tutto ai suoi figli, Luka e Luan che vivono a Klagenfurt (Austria) con la moglie Senka che puntualmente raggiunge ogni domenica dopo la gara di campionato. Ma oggi la B gioca di domenica, in concomitanza con la sfida europea di San Siro Italia-Croazia. «La nazionale sta crescendo, ma il calcio croato ha grossi problemi economici: i club non rispettano i contratti e ogni anno che passa le cose vanno sempre peggio. Così la fuga dei talenti continua: gli Halilovic o i Kovacic vanno al Barcellona o all’Inter a 17-18 anni e la nostra serie A perde campioni; inevitabilmente il livello scende vertiginosamente». Somiglia tanto al ritratto del campionato italiano.«Da voi il problema è che i grandi campioni non vengono più perché Germania, Spagna e Inghilterra offrono cifre che neppure Juve, Milan e Inter possono più permettersi. Però la Serie B italiana non è inferiore a quella di quei Paesi, anzi qui si vedono molti più giovani interessanti e c’è un equilibrio incredibile. E poi gli allenatori più bravi e vincenti, Ancelotti, Lippi, Mancini, Conte, provengono dalla vostra grande scuola».Conte questa sera è chiamato a battere la Croazia di Robert Kovac. «Prevedo un pareggio, 1-1 – dice sornione –. Cosa penso di Kovac come ct? È presto per dare un giudizio, certo è arrivato direttamente dall’Under 21 e a differenza del sottoscritto non ha quelle 250 panchine alle spalle... Conte invece è uno che ha fatto tutta la gavetta, e si vede». Conte ha avuto il coraggio di ripescare anche Mario Balotelli (infortunato dell’ultima ora). «Fino ad oggi Balotelli più che un campione è stato il simbolo dell’antirazzismo e per questo ha tutto la mia solidarietà, perché so che significa: da giocatore fuori dalla Croazia ho subito razzismo persino dai compagni di squadra. Però deve mettersi in testa di crescere e diventare più professionale. Io dico sempre che quando alleni un “professionista al 100%” di problemi non ne hai mai». Lo dice con un intercalare slavo che ricorda l’idiomatica «rigore è quando arbitro fischia» del caro vecchio Vujadin Boskov che, nel 1986, vinse il campionato cadetto e riportò l’Ascoli in Serie A. «Grande Boskov, serbo come Siniša Mihajlovic che stimo molto per quello che sta facendo alla Samp. Certo, salire in A e disputare il derby con le due genovesi sarebbe il massimo...».Un sogno, anche se quello più grande Bjelica dice di averlo già realizzato: «Da bambino desideravo solo una cosa: poter giocare nella squadra della mia città. Ce l’ho fatta. Tutto quello che è venuto e che verrà, sarà solo un mezzo per arrivare alla vecchiaia serenamente, così potrò allenare il mio Osijek, e lo farò gratis».