domenica 9 febbraio 2020
A Bard i servizi del fotografo per il National Geographic: «Salvare il pianeta? È l'umanità che è a rischio». Da sette mesi vive nell'Artico con la famiglia per raccontare il cambiamento climatico
Il macaco “Troublemaker”, Indonesia, 2007

Il macaco “Troublemaker”, Indonesia, 2007 - © Stefano Unterthiner

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Da Bard a Svalbard. Sembra solo un gioco di parole, in mezzo invece ci sono mondi. Da raccontare e da salvare. Al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, nella mostra “On Assignment. Una vita selvaggia” (fino al 2 giugno) scorrono gli scatti straordinari di una natura meravigliosa che Stefano Unterthiner ha realizzato per il National Geographic e che hanno avuto riconoscimenti internazionali, a cominciare dal Wildlife Photographer of the Year. Alle Svalbard, l’arcipelago norvegese del mare Glaciale Artico, le terre abitate (2.600 abitanti su 61mila km quadrati) più a Nord del pianeta, il fotografo valdostano insieme alla moglie Stéphanie e ai figli, Rémi di 6 anni e Bahia di 2, vive da sette mesi un’esperienza totalizzante, proprio lì dove il cambiamento climatico si avverte nella sua drammaticità, realizzando il progetto “Una famiglia nell’Artico” (#unafamiglianellartico). Un anno lì dove muoiono i ghiacciai, fra specie in pericolo, bufere di neve e autore boreali. Una vita ora completamente al buio dopo la stagione del sole a mezzanotte, per testimoniare quello che sta succedendo nel nostro pianeta. «Ma attenzione – puntualizza subito quando lo incontriamo in una parentesi italiana per presentare la mostra – non è la Terra da salvare, perché sopravviverà comunque a noi. Nell’ipotesi più catastrofica diventerà simile a Venere. Il punto è un altro: siamo ancora in tempo a salvare l’umanità? Non è un discorso da relegare solo ai cosiddetti ambientalisti. Non c’è differenza oggi, cosa vuol dire essere ambientalisti? Dovremmo essere tutti ambientalisti in un mondo che vive a velocità e in condizioni di benessere e con ritmi di sviluppo che non possiamo più permetterci; dove lo scompenso fra l’equilibrio naturale e le nostre attività si fa così ampio da scombussolare tutto. Questi primi mesi nell’Artico – continua Unterthiner – sono serviti per comprendere quanto sia necessario agire rapidamente e profondamente per modificare la società e il nostro modo di vivere. E dobbiamo farlo prima che sia troppo tardi». Per l’uomo e per tutte le specie che Unterthiner ha magicamente rappresentato, con immagini di una sensibilità e una poesia assai rare, nei suoi lunghi viaggi intorno al mondo, a testimonianza dell’immenso patrimonio che vive nel pianeta e che è purtroppo seriamente a rischio.

Sul lago dei cigni, Giappone, 2010

Sul lago dei cigni, Giappone, 2010 - © Stefano Unterthiner

Alle Svalbard ci sono insieme l’umanità e il mondo da salvare, con una urgenza che sembra sfuggire anche ai governanti: «Il fallimento della Cop 25, la conferenza sul clima di Madrid, nel pieno della mobilitazione globale la dice tutta...». A Bard, a quasi 4mila chilometri da quelle isole con vista sullo scioglimento dei ghiacciai, ecco il racconto del mondo selvaggio, di paesaggi incredibili, di specie meravigliose, di scene inaspettate e sorprendenti. La mostra documenta il lavoro realizzato da Unterthiner per il celebre magazine americano, di cui è collaboratore dal 2009 (primo italiano nella storia della fotografia moderna): 77 immagini anche di grande formato, suddivise in dieci storie che mostrano un grande ritratto del mondo animale, dalle fotografie realizzate nel remoto arcipelago di Crozet, nelle terre australi francesi, con il pinguino reale e altre specie subantartiche, a quelle prodotte sulle tracce del puma in Cile; dalle suggestive immagini sul cigno selvatico in Giappone, ai drammatici scatti che documentano il declino del cinopiteco in Indonesia; dalle sterne tropicali delle Seychelles che rischiano di scomparire per il cambiamento climatico ai canguri rossi dell’Australia oggetto della più grande caccia legale al mondo. Senza dimenticare gli scatti italiani del falco grillaio di Matera e il grande affresco delle sue montagne, lì dove è nata la passione fotografica e naturalistica di Stefano Unterthiner, seguendo da ragazzo lo zio Paolo nelle passeggiate montanare: il primo Parco nazionale del paese, il Gran Paradiso.

«Il mestiere del fotografo naturalista non è facile – dice Unterthiner, che ha fatto camminare la sua passione fotografica con studi in scienze naturali e zoologia – può far sognare molti, ma pochi possono immaginare cosa voglia dire realmente vivere di fotografia. Qualcuno lo ha definito “il mestiere più bello del mondo”, ma ho imparato sulla mia pelle che questa definizione è vera solo in parte». Ci sono scatti che segnano. Il fotografo e chi li guarda. E quando certe foto arrivano in «quella mitica pubblicazione che per tanti anni mi aveva fatto sognare», la gioia è immensa. «Ricordo che, da ragazzo, non appena ricevevo l’ultimo numero – continua il racconto Unterthiner, mentre si muove fra i suoi scatti – andavo subito a cercare la rubrica di chiusura. Il suo titolo era On Assignment, scritto tutto in maiuscolo, e raccoglieva la testimonianza di uno dei fotografi che avevano contribuito a quel numero. Raccontava, con tanto di ritratto sul campo, un’avventura o qualche curioso episodio vissuti dal fotografo durante l’incarico, in inglese chiamato appunto assignment. Quel breve spazio a fine rivista – racconta ancora Unterthiner, che di On Assignment ha realizzato anche un libro ( Ylaios, pagine 180, euro 42,00) – mi ha fatto sempre fantasticare sul lavoro di quei fotografi. La rubrica è cambiata negli anni, fino a scomparire dalle pagine del magazine, ma ho fatto in tempo a esserci anch’io in occasione della prima storia che ho pubblicato. Appaio ritratto con indosso una cerata gialla, alle mie spalle un mare di pinguini reali, a Crozet. Da allora la mia vita selvaggia non si è più fermata». E in questo momento viaggia da Bard alle Svalbard. Consapevole che «la fotografia non ha alcun potere. Può al massimo documentare e trasmettere un’emozione». Ma anche farci aprire gli occhi sul mondo e l’umanità. Da salvare.

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