Mai come in questo momento i tifosi genoani si sentono delle Anime Salve. E che peccato che uno dei più grandi tifosi del Grifone, il sommo poeta di Genova Fabrizio De André, non possa cantare le gesta di questa straordinaria rinascita. Appena tre anni fa le carovane rossoblù migravano con la tristezza nel cuore, ma con il petto gonfio d’orgoglio genoano, nelle lande più desolate della C1. Ora il club più antico d’Italia, il Genoa Cricket and Footbal Club (fondato nel 1893), come si conviene a una società con 9 scudetti in bacheca (l’ultimo nel 1924) è tornato tra le nobili del calcio italiano, addirittura in corsa per un posto in Champions. Il patron Enrico Preziosi ha spazzato via la miseria e ridato lustro alla nobiltà che si respira già entrando nell’aulica sede di Pegli, nella cinquecentesca Villa Rostan, un tempo meta delle teste coronate d’Europa. Luogo ideale per ospitare il “Principe” silenzioso Diego Milito, vice capocannoniere in serie A con 15 reti, ma soprattutto il campo base dell’uomo della svolta, il condottiero Gian Piero Gasperini.
Lei è un allenatore per niente “medioevale”, padrone delle tecnologie, atteso, domani, alla sfida con il futuristico Mourinho... «Nel calcio di oggi la comunicazione sembra venga prima di tutto; saper essere mediatici quindi è sinonimo di “fenomeni”, come nel caso di Mourinho. Io questa capacità non l’ho mai avuta e non mi alleno neppure per diventare più comunicativo. Poi ognuno è libero di esprimere la sua personalità come meglio crede, a patto di rimanere sempre entro le regole».
Com’è che la società più anziana d’Italia è diventata d’incanto la più amata dai giovani...«Prima i ragazzi della città sulla scia dell’era Mancini-Vialli si avvicinavano di più alla Samp, ora stanno scoprendo il fascino antico, eppure così attuale del Genoa».
Merito anche del 4° posto e del calcio spettacolo che state offrendo? ù«I risultati aiutano, ma dietro c’è un lavoro attento da parte del club che è riuscito a conquistare una fetta nuova di pubblico giovane. Ogni domenica mille ragazzi delle scuole elementari e medie partecipano al progetto “ Genoa Club for children”: un’esclusiva tutta nostra, con tante attività educative, compresa la “scuola di tifo”».
Oltre ad andare regolarmente in rete in campo, molto del lavoro del suo staff tecnico (10 persone) si svolge nella Rete. «Siamo tutti figli di Internet. Le nuove tecnologie ci hanno permesso di colmare il gap che avevamo con le grandi. Avere il mondo a portata di mano senza doversi spostare da Genova è una grande opportunità: siamo riusciti a trovare soluzioni tecniche importanti e giocatori di talento in tempi rapidissimi».
Siamo dunque entrati nell’era del calcio tecnologico? «La tecnologia ha una sua importanza nella preparazione delle partite e nella ricerca dei metodi di lavoro, poi alla macchina si devono affiancare le idee e la creatività delle menti umane che in ogni caso hanno sempre la precedenza».
Per lei prima di tutto sono sempre venuti i giovani, come dimostrano i 10 anni da tecnico nel settore giovanile della Juventus. «Credevo di chiudere la mia carriera allenando solo i ragazzi, poi ho avuto voglia di confrontarmi con il professionismo, dal Crotone sono arrivato al Genoa dove continuo a lavorare sempre a stretto contatto con il mondo giovanile».
Un mondo, quello del calcio, dove si vuole che i calciatori restino eterni “Peter Pan”. «Il rischio c’è. Il problema è che il professionismo li vuole pronti, maturi e mediatici già a 18 anni. Così spesso molti ragazzi si perdono, specie quando non hanno dei modelli di riferimento, fuori e dentro il campo, disposti a farli crescere davvero».
Colpa anche di una scarsa cultura di base nello sport? «Appena cominciano le prime convocazioni nelle Nazionali giovanili si manifesta il “disinnamoramento” allo studio e questo è un aspetto che per il futuro dobbiamo tenere sotto controllo. Bisogna intervenire subito nel caso di abbandono della scuola da parte di un giovane calciatore, fargli capire che l’istruzione è l’unica ricchezza certa che si ritroverà sempre nella vita».
Bell’assist per il ministro Gelmini... «Io sono per l’inserimento dell’Educazione sportiva nelle scuole, affinché aumenti il numero dei praticanti e a latere si possa applicare a ogni singola disciplina, calcio incluso, una serie di materie complementari, come la Storia e soprattutto l’Educazione civica, con cui insegnare il rispetto per gli avversari e i singoli componenti della società».
È questa mancanza di educazione sportiva che poi genera i Balotelli? «Balotelli lo conosco soltanto come un giocatore di talento. Ma ci sono tanti ragazzi che agiscono in maniera molto spregiudicata; nei settori giovanili spesso nessuno gli ha insegnato l’arte fondamentale dell’umiltà, inculcandogli invece la cattiva cultura della vittoria a tutti i costi».
Una cultura dominante ormai e ad ogni sconfitta il “capro espiatorio” è sempre l’arbitro. «Spesso gli arbitri diventano l’alibi per mascherare i limiti tecnici di una squadra. Dopo gli arbitri, però, in cima alla classifica dei capri espiatori ci siamo sempre noi tecnici. A me finora è andata bene, di solito gli allenatori li mettono al muro, invece mi hanno appena dedicato una piastrella del “muretto” di Alassio».
Ora i genoani si aspettano la “Scarpa d’oro” per Diego Milito. «Milito è il giocatore più determinante che abbia mai allenato. Thiago Motta è stato l’affare migliore del Genoa, un giocatore arrivato a parametro zero con un rendimento impressionante. Così come Biava, gente così in forma io la convocherei subito in Nazionale».
L’obiettivo futuro di Gasperini? «Battere l’Inter. Per il Genoa sarebbe come vincere lo “scudetto morale” e poi daremmo una grossa mano a riaprire il campionato. Per lo “scudetto concreto” - sorride - ... Magari ci proviamo il prossimo anno».