Una scena di “Il gusto delle cose”, con Benoît Magimel e Juliette Binoche - Lucky Red
Dodin (Benoît Magimel) ed Eugénie (Juliette Binoche) guidano il ristorante più in voga di Parigi. Un gioiello di regia che fa del cucinare una metafora della sintonia di coppia Nella Francia del XIX secolo Eugénie, cuoca sopraffina, e il celebre chef Dodin Bouffant lavorano insieme da oltre vent’anni. I piatti di Bouffant sono considerati tra i più gustosi e raffinati del Paese e la lunga collaborazione con Eugénie è stata fondamentale per costruire l’eccellenza che tutti gli riconoscono. La grande complicità professionale che li lega è anche alla base di un forte sentimento amoroso tra i due, per questo Dodin ha più volte chiesto alla sua socia di sposarlo. Ma Eugénie, una donna molto indipendente, ha sempre rifiutato le proposte dello gastronomo, vedendo nel matrimonio una minaccia per la sua libertà. Stanco della riluttanza della sua compagna, Dodin decide di conquistarla facendo una cosa che non aveva mai fatto prima: cucinare per lei.
Premiato per la regia all’ultimo Festival di Cannes e scelto dalla Francia per concorrere agli Oscar, Il gusto delle cose di Tran Anh Hùng, regista vietnamita naturalizzato francese, vincitore della Camera d’oro a Cannes nel 1993 con Il profumo della papaia verde e del Leone d’oro a Venezia nel 1995 con Cyclo, adatta per il grande schermo il romanzo La vie et la passion de Dodin-Bouffant, gourmet di Marcel Rouf, pubblicato nel 1924, ma si ispira anche a La fisiologia del gusto che Jean Anthelme Brillat-Savarin pubblicò nel 1825, fissando canoni gastronomici ed estetici ben precisi. Sul set inoltre il regista ha potuto contare sulla consulenza dello chef tristellato Pierre Gagnaire. Sullo schermo ci sono Juliette Binoche, da poco nominata Presidente dell’European Film Academy, e Benoît Magimel. Distribuito da Lucky Red, in film è da oggi nelle sale italiane. «Il libro – dice il regista – è una magnifica panoramica sull’arte culinaria e io cercavo qual-cosa per raccontare sia una storia d’amore che di gastronomia in un film che fosse molto francese, dove l’arte di armonizzare profumi e sapori incontrasse la professione. Se tutte le parole non dette tra Dodin ed Eugéne alimentano il mistero, quello che l’uomo vuol comunicare alla donna che ama viene chiarito dal gesto del cucinare, una grande dichiarazione d’amore. Una storia di coppia che ha richiesto un lavoro in totale armonia». Continua il regista: «Dopo tanti anni Dodin è ancora innamorato di Eugenie e la bellezza della loro relazione sta proprio in quella resistenza. In cucina sono in perfetta comunione e questa complicità trasforma la gastronomia in vera e propria arte che punta su un senso estraneo a tutte le altre: il gusto. Un artista gastronomico sa distinguere sapori che noi non riusciamo a cogliere con così tanta precisione. Questa storia poi è stata anche l’occasione per esplorare qualcosa che raramente viene raccontata al cinema: uno stato coniugale che funziona. La loro unione non ha nulla di romantico o di ardente, ma si nutre di sobrietà, misura e serenità, in sintonia con la natura, e di quella dolcezza tipicamente francese». D’altra parte Dodin, che cita sant’Agostino dicendo che «la felicità sta nel provare passione per quello che già si ha», sostiene che «il matrimonio è un pasto che comincia dal dolce».
Tra preziose pentole di rame e raffinate porcellane, lo sfrigolare dei grassi e il gorgogliare dei brodi, pollame, carré di agnello, succhi, salse, sformati di verdure, ostriche, uova, legumi, consommé, vol-au-vent, frutta e omelette norvegesi, Benoît Magimel e Juliette Binoche, ex coppia nella vita (insieme hanno avuto anche una figlia), ritrovatisi sul set a vent’anni dal loro ultimo lavoro insieme, sono un vero e proprio meccanismo a orologeria che non necessita di parole. La prima, lunga sequenza del film, priva di dialoghi, si affida infatti alla visione dei preparativi di un imponente menu. Riprendere la preparazione dei cibi, che offre allo spettatore la precisa sensazione di profumi e sapori, consistenze e aromi, ha richiesto un preciso lavoro coreografico. «Era necessario – spiega Tran Anh Hùng – sincronizzare tutte le traiettorie dal fornello al lavello, da un piano di lavoro all’altro. Dovevamo sapere quali utensili avrebbero portato i protagonisti quando si muovevano. È stato molto impegnativo, anche perché ho usato una sola macchina da presa: mi piace tracciare i movimenti dei miei personaggi per creare un flusso cinematografico interessante, in modo molto musicale. Gli attori hanno quindi determinato il ritmo del film».
«Per me Il gusto delle cose è un film femminista – commenta invece la Binoche, che nel 2000 in Chocolat aveva giù sperimentato la seduzione del cibo – e ci dice che la cucina è donna. Eugénie si è affermata grazie alla qualità della sua preparazione, è infatti Dodin ammette che lei, prima di essere la sua compagna, è la sua chef. Mantenere l’indipendenza è il segreto per una relazione vera e duratura perché due persone sono alla pari quando proteggono ciascuna il proprio spazio. Ed è solo lì che l’amore esiste, cresce, matura. Sul set, preparando i piatti, pensavo sempre al rapporto particolare che si stabilisce col cibo perché la materia esprime lo spirito. Il film è un inno alla vita, alla bellezza, all’amore, alla natura che è così generosa da meritare di essere celebrata ogni giorno in cucina. Ma il film è anche un omaggio alla raffinatezza francese e una lettera d’amore del regista al nostro Paese».