Antonello da Messina, "Vergine annunciata" - Ansa
Convinto d’aver composto la sua più bella poesia, Umberto Saba restò di stucco alla reazione delusa e perfino imbarazzata della moglie, dopo la lettura della lirica che la descriveva. In effetti, Lina era rappresentata come una gallina, una giovenca, una cagna, una coniglia, una rondine e una formica. Il poeta tratteggiava la moglie con la penna del Cantico dei cantici e del Cantico delle creature, ma i paragoni animaleschi suonavano sconvenienti, offensivi. Eppure, con il politicamente scorretto che solo i poeti sanno permettersi, Saba esaltava il mistero della sua donna, collocandola sullo sfondo della femminilità primordiale e purissima degli animali. L’incantata e incantevole poesia inizia e si chiude con un medesimo, perentorio giudizio: «le femmine di tutti / i sereni animali / che avvicinano a Dio». A motivo di questa capacità di approssimare a Dio, la femmina, scrive inflessibile il poeta, «è migliore del maschio». Molte donne hanno ormai imparato (a proprie spese!) che la loro esaltazione, specialmente se proveniente dal mondo maschile, ha un altissimo, doloroso prezzo… non pagato dagli uomini. Alla sublimazione delle donne spesso si accompagnano il loro sfruttamento e la loro emarginazione. Tuttavia, Saba, collocando la lode alla propria donna nell’ambito della femminilità animale, scansa il rischio dell’inganno, indicando al lettore una singolarità primitiva, netta e indubitabile che riconosce alla femmina, alla donna una condizione impareggiabile, pur nella parità dei sessi. Questa singolarità femminile vibra nel fatto della generazione. È risaputo: l’uomo e la donna concorrono per il cinquanta per cento alla nuova vita che verrà. In questo stanno assolutamente alla pari. Ma soltanto la donna ha il potere di realizzare la sintesi delle due parti. Solo il suo corpo. Solo il suo grembo. La donna partecipa con la propria metà, ma fornisce anche l’ambiente, fatto di carne e di sangue, dove le due porzioni si compendiano in qualcuno che è più della somma delle parti. Vedi tu se è poco. Vedi tu se trovi in giro qualcosa di simile. Il grembo è il luogo d’incontro e di saluto di due universi diversi, per certi versi opposti; lo spazio dove si accende un nuovo corpo celeste. Roba da diventar matti solo a pensarlo. E tralasciamo l’altro miracolo mozzafiato: l’allattamento, dove il corpo di una diventa il cibo per un altro! Quanto è potente il corpo di una donna! Unisce gli opposti; non solo nutre, ma è nutrimento. Nella variegata storia del cristianesimo non è mancato chi sostenne che Eva fu l’obbiettivo primario del serpente a motivo della sua femminile debolezza. Insomma, con prevedibile strategia il diavolo sarebbe penetrato nell’edificio della Creazione attraverso la parte più fragile. Chi la pensa così, non vede come stanno le cose (offende le donne e anche l’intelligenza del diavolo). Quando si vuol distruggere una casa, non si mira alla porta o alla finestra (gli elementi più vulnerabili), ma al pilastro portante, la struttura più resistente: crollata quella, si frantuma tutto. Puntando Eva, il serpente mirò all’elemento più forte dell’edificio della salvezza: un corpo che sa unire gli opposti, una carne che crea alleanze, sigilla patti; così sarebbe collassata l’intera architettura. Perciò la ricostruzione dell’edificio della salvezza, ridotto in macerie, incominciò ancora grazie a una donna: la ragazza di Nazaret. Ecco dove mira il bel libro di Linda Pocher, una giovane teologa italiana. Nel suo Dalla terra alla madre. Per una teologia del grembo (EBD, pagine 176, euro 13,00), Pocher guida il lettore, con mano gentile e ferma, attraverso le pagine dell’Antico e Nuovo Testamento, elaborando una fenomenologia biblica del grembo, argomentata, inedita e meditativa. Il grembo diviene punto prospettico per scorgere Dio, la sua Creazione (raffinatissima la pagina sull’abisso vuoto e buio da cui Dio trae il mondo), per significare i misteri di Cristo (non solo la sua nascita, ma anche la sua Risurrezione dai morti), per intuire qualcosa di Maria, la più misteriosa di tutte. Fuori dal mistero del grembo, sono difficilmente immaginabili sia Dio sia il mondo. Prima o poi s’inventerà un grembo artificiale che porterà fino al parto una vita concepita. Magari lo hanno già inventato. Però, chi crescerà in quel luogo sentirà solo il battito del proprio cuore; di nessun altro. Crescerà solo, abbandonato prima ancora di nascere. L’impareggiabile, incomprensibile premura del grembo di carne e di sangue è un’altra cosa.