L'Orchestra sinfonica di Kiev con il suo direttore principale, l'italiano Luigi Gaggero - © Kyiv Symphony Orchestra
«Luigi, mi puoi richiamare fra tre o quattro ore? Ora sono accovacciato in cucina, stanno bombardando, trema tutto e non sento bene...». La voce al telefono è quella di uno dei maestri dell’Orchestra sinfonica di Kiev. Dall’altro capo della linea c’è Luigi Gaggero che dal 2018 guida la compagine della capitale ucraina. Sono i giorni a cavallo fra febbraio e marzo; la Russia ha invaso il Paese; gli attacchi si susseguono. «Sento quelle parole – confida adesso il direttore principale –. E prego. Prego che “fra tre o quattro ore” loro siano ancora vivi...». Vivi lo sono rimasti tutti i suoi musicisti. E in questi giorni sono tornati ad esibirsi nelle sale da concerto. Non della nazione ancora sotto attacco, ma dell’Europa che ha aperto loro le porte. Protagonisti di una tournée che vuole portare sui palcoscenici la “voce dell’Ucraina”.
Il direttore principale dell'Orchestra sinfonica, Luigi Gaggero, con alcuni musicisti della compagine ucraina - © Kyiv Symphony Orchestra
Sul podio un italiano che da Kiev è stato conquistato. «Ricordo ancora quel 2013 quando venni invitato per un recital. Rimasi folgorato dal silenzio del pubblico: sentivo che le persone aspettavano dalla musica un messaggio spirituale di cui esse avevano un vero, urgente bisogno», racconta l’eclettico maestro di Genova che unisce bacchetta e percussioni, che spazia da Monteverdi a Sciarrino, che insegna al Conservatorio e all’Accademia di musica di Strasburgo. In Ucraina ha come trovato la sua “casa musicale”. Prima con l’Ukho Ensemble, specializzato in musica contemporanea, che ha contribuito a fondare nel 2015. Poi con l’Orchestra sinfonica di Kiev che lo ha voluto al timone. Il tour è partito da Varsavia il 21 aprile. Sette le tappe in Germania fra cui quelle nell’auditorium della Berliner Philharmoniker o nella celebre Gewandhaus di Lipsia. E in queste ore si stanno definendo nuove date in Austria, Spagna, Francia e Svezia. «Però – aggiunge Gaggero – dico con rammarico che, pur ricevendo decine di proposte al giorno da ogni parte del mondo, mi spiace da italiano che nessuno ci abbia scritto dall’Italia».
Maestro, la guerra non ha silenziato la filarmonica.
Esatto. Di solito siamo abituati a suonare o ascoltare musica in un contesto di generale benessere. E questo rende paradossalmente più difficile far compiere all’arte un processo trasformativo nel profondo del nostro essere, rischiando di ridurla a un semplice entertainment. La guerra ci ha riportati al significato più autentico del “fare musica”: operare una trasfigurazione simbolica della vita, conferendole senso.
I membri dell’orchestra hanno suonato nei rifugi, sono rimasti isolati e separati per settimane.
In quanto direttore mi aspettavo che la prima prova sarebbe stata molto difficile. Un mese senza suonare è un periodo enorme per un’orchestra sinfonica. Invece, quando ci siamo ritrovati in Polonia, già nelle note iniziali risuonava un’intensità che raramente ho sentito.
Il conflitto sta mettendo a rischio la sopravvivenza dell’orchestra?
Non in quanto istituzione. Ma delle persone che la compongono, sicuramente. È di pochi giorni fa la notizia della morte di una giornalista, uccisa dai razzi russi, che era stata nostra direttrice artistica.
In tournée portate un programma tutto ucraino, con partiture di Maksym Berezovsky, contemporaneo di Haydn e Mozart, di Boris Ljatošynskij, che aveva sconvolto il regime sovietico, e di Myroslav Skoryk morto nel 2020.
Fra le molte bugie con le quali Putin giustifica l’invasione c’è la teoria che l’Ucraina sia una creazione recente e non abbia un’identità autonoma. Invece Kiev è molto più antica di Moscovia. E sa che cosa fece Pietro il Grande entrando nell’attuale capitale? Distrusse le biblioteche. Aveva capito che un popolo è tale solo se possiede un mito condiviso e decise di rubare questa mitologia a Kiev distruggendo le tracce del “furto”. In Russia la distorsione della storia non l’ha inventata Putin… Dunque, che cosa può esserci di meglio che far parlare direttamente la cultura ucraina, nel nostro caso la musica, che di questa tradizione secolare è lo specchio?
Il direttore Luigi Gaggero alla guida l’Orchestra sinfonica di Kiev nella tappa a Berlino del tour europeo - Elza Zherebchuk
L’Europa ha bisogno di conoscere il patrimonio dell’Ucraina?
Penso proprio di sì. La particolare qualità umana degli ucraini, il loro profondo rapporto con la natura, la riflessione sul sacro espresso dalla religione e dall’arte costituiscono un contributo unico ed essenziale al nostro continente.
Ai musicisti è stato concesso di lasciare il Paese. Non si tratta però di una fuga…
Assolutamente e al termine rientreranno in patria. Anche per questo stiamo cercando di prolungare il tour. È indispensabile contare sulla disponibilità di istituzioni che possano ospitare l’orchestra persino per brevi periodi di residenza e naturalmente per i concerti.
La musica può essere un volano di diplomazia dal basso?
Certo. E non soltanto perché è un modo per far risuonare la cultura di un Paese aggredito. Infatti, per rispondere intelligentemente a un’aggressione che è allo stesso tempo militare e culturale, è necessario tornare al fondamento della nostra civiltà, ai valori nei quali scegliamo di riconoscerci. E la musica riveste un ruolo importante nella riscoperta delle nostre evidenze valoriali.
In Europa c’è chi critica la presenza della musica russa o dei cantanti russi nei cartelloni dei teatri.
È un argomento spesso strumentalizzato. Ho letto su certa stampa di come gli ucraini proibiscano ai loro ballerini di danzare il Lago dei cigni di Cajkovskij: così si vuole insinuare che qualche “nazista culturale” in Ucraina c’è. Da parte mia, ritengo che colpevolizzare la cultura russa sia da stolti. Tuttavia ogni evento culturale ha una qualche valenza politica: credo sia opportuno chiedere ai musicisti russi una presa di posizione chiara su quanto sta accadendo. Per quanto riguarda la scelta compiuta da musicisti e istituzioni ucraine di non programmare partiture russe, mi sembra comprensibile dal punto di vista umano.
Un'esibizione dell'Orchestra sinfonica di Kiev nella capitale ucraina lo scorso anno - © Kyiv Symphony Orchestra
Lei ha aperto l’Orchestra di Kiev al repertorio contemporaneo. E con l’Ukho Ensemble ha portato in Ucraina i lavori di Stefano Gervasoni, Carmine Cella o Salvatore Sciarrino.
È impressionante vedere il numero di giovani e la varietà del pubblico ai concerti di musica contemporanea a Kiev: professori di conservatorio siedono a fianco di rapper, amanti della techno-music, casalinghe. Praticamente tutti i concerti dell’Ukho Ensemble sono stati sold out per anni.
L’orchestra ha anche un’accademia per nuovi talenti. C’è voglia di musica?
Moltissima. E il popolo ucraino, forse anche grazie alla bellissima lingua, è estremamente musicale.
Come immagina il futuro della compagine quando finirà la guerra, in un Paese con milioni di rifugiati all’estero e devastato dai missili?
Torneremo a Kiev. Non ci saranno solo i palazzi da ricostruire. Cruciale sarà curare lo spirito delle persone, continuare a parlare ai loro cuori, preservare lo spirito di comunità perché anche i nuovi edifici abbiano un’anima, esprimano una trascendenza e non siano fatti solo di volgare funzionalità. Sono persuaso che la musica abbia un grande compito in tutto questo.