Gorizia - Zairon/Wikicommons/CC BY-SA 4.0
“I giovani di Gorizia potrebbero in futuro sciare sui monti della Slovenia e i giovani di Nova Gorìca andare al mare a Grado. Il tutto affinché si verifichi l’incontro tra le genti e il confine non sia una linea di divisione, come invece lo sentono Roma e Belgrado…”. E poi la stoccata finale, di quelle che cambiano la storia: “Qui, dove c’è fusione tra varie culture europee, questa tradizione culturale va intensificata”. Che i giovani di due nazioni non possano valicare il confine per un tuffo in mare oggi è così inconcepibile che si rischia di non comprendere la portata storica di questo documento. Eppure la decisione veniva presa, in clandestinità, nel 1965 tra i due giovanissimi sindaci dell’unica città italiana allora divisa da un muro (come Berlino) e tagliata in due da un confine tragico: Gorizia-Italia di qua, un metro più in là Nova Gorìca-Jugoslavia. In piena guerra fredda, proprio sulla faglia politica che divideva l’Europa, il sindaco italiano Michele Martina (cattolico e democristiano) e il sindaco sloveno Jozko Strukelj (ateo e figlio del gerarca titino dei 40 giorni di sangue a Gorizia) segretamente riunivano le due giunte e attraverso il confine più chiuso d’Europa gettavano un ponte che allora sarebbe sembrato impossibile, se non colpevole di tradimento. “C’è in noi l’orgoglio di aver anticipato qui, pur su un piano più modesto, lo spirito dei rapporti dei due Paesi, a beneficio delle nostre due comunità”, concludevano i due giovani.
È in questo fermento che nel 1966 a Gorizia germinò l’Istituto per gli incontri mitteleuropei (ICM), nato dall’idealismo di giovani cattolici della Dc goriziana, che subito coinvolsero umanisti e poeti di numerosi Paesi aderenti (i primi Italia, Jugoslavia, Austria, Cecoslovacchia, Germania Ovest, Ungheria). Tanta acqua è passata sotto quel ponte in questi 56 anni di Incontri di Cultura Mitteleuropea, il primo dei quali tenuto a battesimo da Giuseppe Ungaretti, che in quell’occasione tornava per la prima volta sul Carso 50 anni dopo le feroci battaglie del 1916 immortalate nelle sue poesie. Da allora Gorizia è diventata nei fatti laboratorio di un’Europa futura e non è un caso se Gorizia/Nova Gorìca nel 2025 saranno unitamente Capitale Europea della Cultura, “un appuntamento che sarebbe occasione persa se non rilanciasse il messaggio dei due giovani sindaci di allora e soprattutto non affondasse le radici nell’esperienza plurilingue e multiculturale di Gorizia, da secoli crocevia delle tre civiltà che costituiscono l’Europa: latina, tedesca e slava, quindi mitteleuropea”, afferma Nicolò Fornasir, vicepresidente di ICM. E non è nemmeno un caso se negli ultimi mesi il presidente della Repubblica Mattarella in ben quattro occasioni parlando agli italiani ha additato in Gorizia/Nova Gorìca 2025 l’esempio cui guardare per costruire un’Europa solidale e pacifica.
Giuseppe Ungaretti nei giorni in cui inaugurava gli Incontri di cultura mitteleuropei ICM di Gorizia - ICM
Perché il cantiere parta col piede giusto, ICM in questi giorni ha richiamato dall’Italia e dall’estero le più diverse competenze per un convegno (di cui Avvenire è media partner) intitolato “1821-2021 - In due secoli le genti del Goriziano hanno trasformato i confini imposti dalle guerre nella frontiera più aperta d’Europa”. Storici, poeti, filosofi, musicisti, narratori, testimoni diretti delle complesse vicende avvenute in questa regione hanno lanciato progetti affinché questo patrimonio del passato diventi linfa di fratellanza per un’Europa improvvisamente ripiombata nella guerra. E non è utopia. “Proprio gli Incontri culturali mitteleuropei tenuti qui dal 1966 hanno compiuto miracoli nell’abbattimento della Cortina di ferro tra Est e Ovest – spiega lo storico Fulvio Salimbeni, presidente ICM – e l’azione dei due giovani Martina e Strukelj fu talmente dirompente che furono invitati dal cancelliere Willy Brandt a Berlino, davanti a duemila delegati degli Stati Generali d’Europa, a spiegare cosa avevano fatto”.
Il muro di Berlino crollò persino prima di quello di Gorizia, che dal 1947 ha resistito fino al 2004, tagliando in due abitazioni, orti, famiglie, persino le tombe nel cimitero. Se riprendere il dialogo politico allora era impossibile (la Jugoslavia era quella di Tito e chi provava a scavalcare il reticolato perdeva la vita), ICM lo riprese sul piano culturale: “La poesia sembrava innocua e non avemmo problemi a riunire letterati anche dai Paesi dell’Est”, spiega Fornasir. Venivano sempre “in due” (erano sotto il controllo dei regimi totalitari), ma l’arte non si ingabbia. Col tempo la Jugoslavia si frantumò e dalle sue macerie dopo un decennio di guerre sanguinose sono nate Slovenia e Croazia. “Quindi Gorizia negli anni ’90 si trovò di nuovo un confine caldo, con i carri armati jugoslavi al valico della Transalpina – ricorda Salimbeni –, ma poi qui la gente seppe riaffermare di nuovo la frontiera, che è area di incontro, al posto del confine, che è linea di scontro”.
Tutt’altro che sinonimi, il confine taglia (di qua noi di là loro), la frontiera mischia, compenetra, alla lunga rende impossibile distinguere chi è noi e chi è loro. E in nessun luogo come a Gorizia lo si respira. Qui tre civiltà parlano indifferentemente quattro lingue (italiano, sloveno, tedesco e friulano) e sono una sola cultura. “Per il 2025 quindi chiediamo all’Ue che istituisca a Gorizia una Agenzia Europea della Fratellanza”, propone Fornasir a nome di tutti gli intellettuali presenti, “dove si testimoni il rispetto delle reciproche memorie, il dialogo interreligioso, la convivenza di più idiomi. E’ un progetto che non richiede nuovi edifici ma una nuova mentalità, qui da noi ricomporre il conflitto nella convivenza è una cosa naturale, è scritta nel Dna: quando hai il padre ungherese, la madre croata, il nonno veneziano e la nonna friulana come puoi confliggere?”.
Altro obiettivo è l’avvio del Distretto Culturale Europeo “Go Mosaico”, progetto pilota patrocinato da Unesco con il sostegno di Unione Europea, del ministero della Cultura e dell'arcidiocesi di Gorizia, una sintesi tra la specificità del territorio e l’universalità del suo patrimonio immateriale, da tradurre in strategia sociale ed economica su scala europea. “Bisogna venire qua, per capire”, commenta Emanuela Motta del Cnr di Napoli, “un anno fa abbiamo firmato con ICM un programma d’azione, insieme a varie università e a musei di respiro internazionale, teso allo sviluppo delle identità culturali”. Dalla splendida Ravello, sulla costiera amalfitana, ha invece aderito Alfonso Andria, presidente del Centro Universitario Europeo per i Beni culturali: “Alla sfida del 2025 bisogna prepararsi con la tensione ideale che c’è in questi territori. A Ravello 16 anni di studi sul rapporto tra cultura e sviluppo hanno dimostrato che l’economia non cresce se non c’è tutela dei diritti, e qui a Gorizia molto più che altrove il patrimonio di uguaglianza tra le persone può essere la risposta alla domanda che oggi ci poniamo capovolgendo le parole di Dostoevskij: il mondo salverà la bellezza?”. Poi cita Mattarella: “Gorizia/Nova Gorìca 2025 saranno la vetrina dell’autentico spirito europeo, mi auguro che questo messaggio sia raccolto dalle zone di confine di tante parti del mondo”. Parole pronunciate quando ben pochi di noi conoscevano il Donbass e la Transnistria…
“In questo territorio le ferite si vedono bene, nelle trincee della Grande guerra, nelle foibe, nelle violenze antislave, e tutte parlano di morte. Occorre convertirle in luoghi di commozione comune – è l’affondo storico di Raoul Pupo –. Per contrapporre alla logica di Caino la logica della pace non basta togliere la guerra guerreggiata se poi resta la guerra degli spiriti, ma ci vuole tempo per questo, almeno una generazione, e ora, con la guerra in Ucraina, quante generazioni ci vorranno per rimediare? Sono sbalordito dalla capacità del papa di riconciliare ‘durante’, come ha fatto nella Via Crucis, un gesto profetico che proprio per questo ha infastidito. Gorizia per la sua storia unica di sofferenze, con l’occupazione titina e una ‘pace’ imposta bruscamente nel 1947 a spese della popolazione divisa in due, ha saputo però essere profetica già negli anni ’60. Qui un cattolicesimo di frontiera ha ribaltato gli assunti del fascismo di frontiera, che erano l’imperialismo e l’antislavismo”. Forte l’appello dello storico: “Non saranno gli stand gastronomici a fare la Capitale della cultura, ma il recupero di una ricchezza comune plurisecolare. Il tempo però è poco, se i circoli virtuosi si interrompono si torna indietro”. Gli amministratori locali (e non) sono avvertiti.
Molto colpito dalla “spinta del cattolicesimo democratico che qui ha avuto un ruolo fondamentale nel superamento dei risentimenti” è lo storico salernitano Giampaolo D’Andrea, consigliere del ministro della Cultura Franceschini. “Mi riporta allo splendido discorso tenuto da Aldo Moro nel 1971 all’Assemblea generale dell’Onu: il processo di distensione europeo era avviato e Moro sottolineò che solo cominciando a porre in essere un clima di fiducia tra Stati vicini si può instaurare un ordine migliore. Disse che ‘se finora i nemici dei nostri vicini erano nostri amici, da oggi i nostri vicini devono essere i nostri amici’. In queste parole c’era già il Distretto Culturale che volete fondare”.
Infine Karl Bonutti, classe 1928, cattolico impegnato, nato a Gorizia da madre slovena e padre friulano, primo ambasciatore della neonata Slovenia presso la Santa Sede, nel 1945 fuggito come perseguitato politico (a 17 anni!) dalla polizia politica di Tito che nei 40 giorni fece sparire nel nulla 700 innocenti, già docente di Rapporti tra le minoranze all’università di Cleveland, insiste sulla necessità di fondare a Nova Gorìca/Gorizia una Università Europea, che diventi (come in passato Aquileia, di cui Gorizia raccolse l’eredità) fulcro d’incontro. “La fratellanza non è una parola retorica – conferma lo sloveno Boris Nemec, consigliere ICM –, qui basta girare per le strade per toccare con mano che siamo il risultato di secoli di convivenza tra sloveni, friulani, cechi, ungheresi, slovacchi, ebrei, veneti… Le ferite le aprì l’ideologia, non la gente. E dietro le guerre c’è sempre anche un attrito religioso, allora se nell’Università Europea sapremo unire cattolici, ortodossi, protestanti, ebrei, islamici in futuro avremo professionisti che avranno studiato insieme e proveranno fiducia reciproca”. Anche di questo il seme fu gettato già nel 1500, quando nelle grandi corti d’Europa si succedevano diplomatici provenienti tutti da Gorizia, per due motivi: perché qui si conoscevano più lingue e perché ogni famiglia era l’intreccio di più etnie, dunque si cresceva nella naturale propensione a mediare.
Ungaretti sul Carso nel 1966, davanti alla lapide che riporta la sua celebre poesia - ICM
“Oggi il mondo ha urgente bisogno di riscoprire che confine deriva da cum, insieme, e Gorizia insegna che è possibile”, conclude Giulio Maria Chiodi, docente universitario di Filosofia. Una fratellanza che trova scolpita nella dedica lasciata alla città da Ungaretti nel 1966, dove parla della sua guerra di trincea e di “chi ci stava di fronte e che dicevano nemico, ma che noi, pure facendo senza viltà il nostro cieco dovere, chiamavamo nel nostro cuore fratello”. La preghiera laica che ICM da anni diffonde nelle 21 lingue dei popoli che vennero qui a morire nella “inutile strage”.
La forte e commovente dedica di "fratellanza" lasciata da Ungaretti al sindaco Martina e all'ICM - ICM