Per i comuni mortali i Sessanta sono l’anticamera della pensione, il tempo della nonnità e, che lo si voglia o no, il prologo della terza età. Ma non per lei, Barbie, l’eterna ragazza prodigio del marketing che, in un mercato in cui un giocattolo di successo dura dai tre ai cinque anni, sta per varcare (il 9 marzo prossimo) la soglia dei sessanta ancora come la bambola più amata e venduta al mondo: in forma smagliante nel suo universo rosa, senza segni di invecchiamento dopo infiniti ritocchi e qualche anno di crisi, ha sorpreso di nuovo gli addetti ai lavori con cifre record, realizzando ricavi per 1,09 miliardi di dollari e superando per la prima volta dal 2014 la soglia del miliardo.
Il trasformismo paga e Barbie sa da sempre come interpretarlo. Una vita passata a cercare di levarsi di dosso l’immagine di donna stereotipata, vanesia e consumista, quel modello irrealistico di femminilità diseducativo, criticato e osteggiato per decenni, la bambolina ha attraversato indenne il femminismo e gli anni dell’emancipazione delle donne con la leggerezza di chi cambia pelle come un vestito, sempre muovendosi in tacchi a spillo, tenendo insieme voglia di divertimento e obiettivi alti. Con abiti e personalità sempre diversi e con fare modaiolo, ha affrontato duecento carriere, ha giocato a fare la fotomodella e la diva, l’ambasciatrice Unicef e la candidata alla Casa Bianca. Ha abbracciato persino la normalità, fedele a uno degli slogan che più la rappresenta, You can be anything, “Puoi essere tutto ciò che vuoi”. Persino, come ha decretato la linea Fashionista, più minuta, più alta e più cicciottella, rossa, mora, dalla pelle scura: quattro tipi di silhouette, sette tonalità di carnagione, ventidue colori degli occhi e ventiquattro diverse acconciature, oltre a infiniti abiti e accessori all’ultima moda. Ha osato pelle nera e velo islamico, ispirata alla schermitrice Ibtihaj Muhammad, e in un sussulto di inclusività, è diventata disabile in sedia a rotelle, cadeau di compleanno in arrivo a giugno.
Dunque dopo aver sedotto con le sue fattezze adulte, il fisico esageratamente perfetto e uno stile da pin up, le bambine della fine degli anni Cinquanta abituate da far da mammine ai propri bambolotti, Barbie continua a tener fede alla sfida di una vita: sapersi adattare allo spirito dei tempi restando sostanzialmente se stessa. E a onorare un imperativo categorico, trasformarsi (assecondando i gusti delle bambine per limitare i rischi commerciali) o perire. Camaleontica, poliedrica, adattabile, flessibile nello spirito nonostante la plastica rigidità, sulla strade dei sessant’anni la ragazza ha di nuovo capito che se si vuole piacere alle bambine di oggi, non è più sufficiente farsi spazzolare i capelli, vestire e rivestire, farsi mandare alle feste, in look da principessa o reginetta del ballo, e neppure soltanto agghindarsi da architetto, cantante pop, calciatore, poliziotta.
È essenziale bucare il video, un obiettivo che Warner e Mattel inseguono annunciando come trionfale regalo di compleanno – sperando di farne un successo commerciale – un film in live action in uscita nel 2020 con l’australiana Margot Robbie nel ruolo di Barbie. È stato altrettanto chiaro in questi anni che si dovesse attraversare il web, diventare social, essere su Facebook, twittare, avere un profilo Instagram. Ossia essere dove sono oggi bambine e ragazzine. Insieme naturalmente alle sorelle maggiori e alle mamme, eterne teenagers. Dal proprio account con due milioni di follower Barbie posta su Instagram ogni giorno le proprie foto con accanimento narcisista, accuratissimi look abilmente contestualizzati esattamente come fanno le ragazze in carne e ossa che la seguono e come le influencer di moda. Mentre dal proprio canale YouTube rosa abbagliante da ragazza italiana nella media racconta ai suoi oltre cinque milioni di seguaci, pezzi della propria vita, viaggi, occasioni, passioni e interessi, dispensando consigli di moda e tutorial di cosmesi. Tutto nuovo, niente di nuovo, dunque all’alba dei sessanta. Se non che Barbie è viva e gioca insieme a noi.