domenica 30 marzo 2014
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Avederlo col capello corto e con un accenno di pan­cetta, è quasi irriconosci­bile. Poi basta sentirlo par­lare e ti viene in mente il grande Milan, quello delle vittorie a ripetizioni di cui Ruud Gullit era uno degli arte­fici. Altri tempi, il Milan di oggi è l’ombra di ieri, eppure Gullit, ospite della Petronas al Gran Premio di Malesia di Formula 1 dove ha presenziato ai premi Laureus, assolve la squa­dra diretta da Seedorf: «Cambiare allenatore vuol dire cambiare mentalità - dice Gullit ­non puoi farlo a metà campiona­to e vedere subito i risultati. Cla­rence ha bisogno di tempo, sta la­vorando bene e ha bisogno che tutto il gruppo di gioco lo segua. Invece la sua panchina sembra sempre in bilico. Uno studio in In­ghilterra ha dimostrato che cam­biare troppi tecnici non porta grandi risultati. Quindi dico a Gal­liani di continuare così, almeno questa è la mia idea». E sul fatto che Berlusconi possa vendere il Milan? Pensa ne valga la pena? «Intanto diciamo che con Berlu­sconi abbiamo avuto il Milan più vincente di tutti i tempi e i nu­meri sono lì a confermarlo. Il cal­cio di oggi è business, marketing, affari, soldi che circolano. Se qual­cuno arriva coi soldi veri, credo che Berlusconi venderà il Milan. Altrimenti se lo tiene». Ha parlato di marketing, soldi e altro ancora, poco a che fare con lo sport ci pare di capire… «Guardate dove il calcio, che è lo sport più popolare del mondo, si sta sviluppando. In Oriente, nei paesi arabi, là dove ci sono i soldi per gli investimenti. Una squadra di calcio costa più di una squadra di Formula 1, ma è normale: si gio­ca molto e spesso, i giocatori non ce la fanno a reggere questi ritmi e ci vogliono almeno 22 giocatori per una squadra, quindi si rad­doppia il costo, la gestione e tutto il resto. Per coprire queste spese ci vogliono investimenti, soldi degli sponsor e marketing e oggi, con la crisi che c’è in Italia e in Europa, i soldi non ci sono, si fatica a copri­re le spese, la gente non va allo sta­dio e diventa tutto più complica­to. Si vive solo con i diritti TV che portano quattrini alle casse di u­na squadra». Stadi semivuoti, troppe partite, sembra quasi di sentire Pran­delli che si lamenta di avere la rosa della Na­zionale fatta di giocatori spompati… «Allora, parlando dell’Italia, co­minciamo col dire che gli stadi so­no vecchi, obsoleti e per niente ac­coglienti. Quando porto mio figlio, che è piccolo, allo stadio in tribu­na non c’è igiene, e nemmeno si­curezza sugli spalti. Guardate in­vece lo stadio della Juventus. È mo­derno, accogliente e ha servizi, la gente ci va volentieri. E dico altro: con uno stadio così risolvi anche il problema degli ultras. Negli sta­di vecchi hanno vita facile, in uno nuovo sarebbero sotto controllo e non accadrebbero certi episodi. Per fare stadi nuovi ci vogliono sol­di e il coraggio di investire. Una so­luzione? Ospitare un mondiale o un europeo, ma non come negli anni 90 dove hanno riverniciato stadi vecchi che tali sono rimasti». Altro punto dolente: le difficoltà di Prandelli. «Il vostro ct ha ra­gione, ma la colpa è del campionato italiano. Si gioca trop­po spesso, uno non può reggere i ritmi e giocare tutte le partite. Su 22 giocatori ci sono 2 fuoriclasse, e questi li mettono in campo tut­te le volte. Da voi si fa molta pre­parazione pre-campionato, poi durante la stagione i calciatori scoppiano, perché non hanno il tempo di riposarsi e di allenarsi come si deve, e ad aprile, compli­ce la primavera, mancano le ener­gie. Ecco spiegato perché il flop della Nazionale dà ragione a Pran­delli ». Quindi la TV croce e delizia del calcio? «In un certo senso sì, perché ti co­stringe a giocare troppo spesso. Un calciatore è uno sportivo che non ha tempo per recuperare. La TV fa bene agli incassi coi diritti pagati, con questi costi le squadre non e­sisterebbero ». Da grande campione quale lei è stato, che ne pensa di Balotelli? «Un grande giocatore, bravissimo, ma difficile da gestire. Non c’è riu­scito uno come Mourinho e nem­meno uno come Mancini. Balor­telli ha talento ma è giovanissimo, è una questione di carattere, non è colpa degli allenatori, su que­sto sono sicuro. Noi al Milan della mia epoca abbiamo rap­presentato un gruppo unico perché avevamo una menta­lità diversa e all’avanguardia, anche i rivali ci apprezzava­no, oggi non vedo questo scatto di mentalità nel futu­ro ».  E qui finisce la chiacchierata, ma l’ultima domanda la fa Gullit a noi: «Ho vissuto molto in Italia e anche io tifo Ferrari, ce la farà a vincere?». Ecco una domanda alla quale non sappia­mo rispondere.

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