Qualcuno si è persino sorpreso, qualcuno ha pensato a una spinta dettata dal turismo sportivo piuttosto che dalla voglia di irretire gli juventini alla vigilia di una partita fondamentale. E invece, il pellegrinaggio di giovedì di centinaia di tifosi del Benfica a Superga, insieme a quelli granata, è solamente l’ultima puntata di una storia di calcio speciale, fatta di pallone, destino, amicizia e morte. Oggi, sulla collina torinese sormontata dalla Basilica, si celebra il 4 maggio di 65 anni fa. E come 65 anni fa, il Torino salirà su un aereo a Verona (con ringraziamenti all’assurda cecità della Lega Calcio) per arrivare in tempo a rendere omaggio a quei predecessori incancellabili dal cuore e dalla memoria. Quell’altro Torino, il Grande Torino, si imbarcò invece a Lisbona, in una mattinata ventosa, incerta. Non atterrò, cadde sulla soglia di casa, lo sanno tutti: e da allora, per chi pensa granata o semplicemente pensa calcio, il 4 maggio porta sempre con sé un’ombra lunga e dolorosa. Morirono tutti nel disastro, 31 tra giocatori, dirigenti, accompagnatori, giornalisti, piloti. Però prima c’è stato un 3 maggio, tanta luce, quella forte di Lisbona, e ombre a cui nessuno, in un clima di festa, attribuì significati di presagio. Il Benfica, il Portogallo, non hanno mai dimenticato e per questo quei supporters sono saliti a Superga. C’è un sensazione di incolpevole responsabilità, di essere stato strumento di un destino infame. Sicuramente si sentì tale Francisco Ferreira, il suo capitano, il suo uomo simbolo. Fu lui, in occasione di un Italia-Portogallo del febbraio precedente, a chiedere e a ottenere dall’omologo Valentino Mazzola la partecipazione del Torino - anzi, del Grande Torino - all’amichevole che il suo club avrebbe organizzato per lui. Partita d’addio, si disse, e si dice talvolta ancora oggi. In realtà si trattò di un match definito ufficialmente di "omaggio" e che nei fatti fu di cassetta: nel calcio del primo Dopoguerra, in un’Europa ancora lacera e affamata, parole come adeguamenti, buonuscite, bonus potevano appartenere a un libro di Isaac Asimov. E Benfica-Torino doveva servire in buona sostanza a mettere nelle tasche di Ferreira, al netto della parte spettante ai granata, una sorta di liquidazione.Esiste un’altra teoria, a supporto delle ragioni, che è quella di un interesse, di una volontà da parte del presidentissimo granata Ferruccio Novo di ingraziarsi Ferreira in vista di un ingaggio prossimo venturo. Ma è molto più probabile, nel caso, una ragione totalmente opposta, vale a dire quella di non inimicarsi Valentino Mazzola, organizzatore del tragico viaggio e probabile destinatario della "provvigione" meritata dai Campioni. Mazzola, 30enne, era nel pieno di una delicatissima situazione familiare: accusato di bigamia dopo avere lasciato la moglie - madre dei piccoli Sandro e Ferruccio - si era lanciato in una onerosa battaglia legale. Fosse nato solo 20 o 30 anni dopo, non avrebbe avuto problemi a schierare un undici di grandi avvocati, ma pur essendo per distacco la più grande stella del calcio italiano e forse europeo, i soldi del 1949 erano quelli che erano. La sostanza, alla fine, è che Benfica-Torino si fece, in quell’assolato 3 maggio di Lisbona: in 40mila accorsero allo Stadio Nazionale di Jamor, marmi bianchi e stile architettonico che richiamava alla perfezione Salazar e il suo totalitarismo, qualcosa che era ancora molto familiare anche agli italiani. Finì 4-3, il Toro colpì e poi lasciò spazio, un po’ per le scorie della sfida-scudetto superata contro l’Inter il sabato precedente, un po’ per Ferreira e la sua gente, un po’ per una vigilia molto rilassata nell’oasi allora quasi immacolata dell’Estoril. Bastò comunque perché i Benfiquisti rimanessero abbagliati da quelle maglie, da quei campioni. «Ci avevano detto che gli italiani giocavano solo di contrattacco, e non fu esattamente così», ricorda l’allora giovane José Bastos in un docu-film sull’ultimo giro di vita del Grande Torino, "Benfica-Torino 4-3", realizzato da due giovani, Andrea Ragusa e Nuno Figuereido, un italiano e un portoghese, è sempre e comunque quel ponte che ha unito e unirà, in qualche modo, due comunità di tifo e popolo rimaste incollate anche quando il tempo ha virato al bianco e nero la luce e i colori del 3 maggio, lasciando in primo piano solo quei rottami, quell’orrendo scenario sulla collina.Il Benfica e i Benfiquisti torneranno a Torino, il 14 maggio. Qualcuno pensa che il viaggio-bis, conquistato a spese dell’“odiata” Juventus, sia stato spinto dall’alto dai ragazzi granata: suggestione, certo. Ma quello stesso qualcuno pensa anche che l’imminente finale di Europa League romperà l’anatema che l’allenatore Bela Guttmann che - licenziato dopo il trionfo europeo - sentenziò l’impossibilità di vincere una Coppa per almeno 100 anni. Torino appare il posto migliore: da Superga, nelle giornate appena limpido, si vede anche lo Juventus Stadium.