sabato 19 ottobre 2024
Fa discutere la scelta di inserire anche una tappa africana. Per il Paese potrebbe essere un'occasione di sviluppo, ma secondo l'opposizione «bisogna prima chiedere il rispetto dei diritti umani»
Il centro di Kigali, in Ruanda

Il centro di Kigali, in Ruanda - Alamy

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Africa, ultima destinazione. Il mondiale F1 guarda al continente come prossima tappa del campionato e sceglie il Ruanda. Una sorpresa, sotto certi aspetti, visti i precedenti del Sud Africa, e nei tempi antichi del Marocco. Ma adesso c’è qualcosa di nuovo. Lo spiega Stefano Domenicali, Ceo di Liberty Media che organizza il campionato mondiale: «La F1 è uno sport globale, fra i vari continenti che ospitano una gara manca proprio l’Africa. È quindi un dovere essere presenti anche qui».

Una scelta che crea un contrasto notevole: lo sport più ricco del mondo (lo dicono gli incassi e i contratti milionari) nel continente più povero del mondo. Dove il costo di una monoposto, di circa 2,5 milioni l’una, potrebbe sfamare una nazione. Il circo iridato muove soldi in maniera impressionante: se si considera soltanto il valore delle vetture schierate, siamo attorno ai 50 milioni di euro, i contratti dei piloti movimentano altre centinaia di milioni (fra Hamilton, Verstappen e Leclerc, tanto per fare un esempio, siamo già attorno ai 130 milioni in tre…), senza dimenticare gli sponsor del campionato. In Europa la F1 muove introiti per circa 180 milioni di euro (dati Istat inerenti l’ultimo GP d’Italia, ndr), il Ruanda è una nazione di 13,6 milioni di abitanti divisi in tre etnie: Hutu (85 per cento), Tutsi (14 per cento) e BaTwa (1 per cento) con un reddito pro capite di 966 dollari. Ovvero lo stipendio di un anno che vale il costo di un biglietto in tribuna nei GP occidentali.

Dice ancora Domenicali: «Vogliamo andare a correre in Africa per creare opportunità, creare lavoro. Noi siamo un campionato mondiale, l’unico continente in cui non corriamo è l’Africa, un continente che ha delle tensioni, delle situazioni sociali e difficoltà diverse rispetto ad altre parti del mondo. Voler andare lì non è legato al fatto di massimizzare quello che potremmo guadagnare di più in un altro posto. Vogliamo dare centralità a uno Stato più povero degli altri. È l’occasione per far crescere un territorio attraverso uno sport che fa girare numeri importanti come prodotto interno lordo e posti di lavoro». A Singapore era presente anche il presidente del Ruanda, Paul Kagame con la sua famiglia e proprio Singapore rappresenta uno Stato da imitare: «Vogliamo essere la Singapore d’Africa – ha detto Kagame, al potere dal 2000 e appena rieletto per il quarto mandato col 99 per cento dei favori – vogliamo far progredire la nazione». Servono circa 150 milioni per la costruzione del circuito (e nella prima fase si pensa a sfruttare le piste dell’aeroporto di Kigali).

Dice Hermann Tilke, l’architetto tedesco che ha creato diversi impianti, da Abu Dhabi alla Malesia, dal Qatar a Shanghai, e che insieme all’ex pilota di F1 Alex Wurz sta curando il progetto: «Ci sono due difficoltà da superare ovviamente, la prima riguarda gli investimenti, che sono subordinati alla realizzazione del progetto, la seconda di sicurezza ». Dice Alessandro Alunni Bravi, team principale Sauber Audi: «Essere la prima nazione in un continente ad ospitare la F1 è un biglietto da visita importante per gli investitori. Lo fu per l’Ungheria nell’86, primo paese comunista ad ospitare un GP e lo è stato per il Bahrain, con lo sviluppo che abbiamo visto tutti. La stessa cosa per Shanghai e la Cina e per Baku, in Azerbaijan, oggi anche meta turistica ma che prima della F1 nessuno conosceva o visitava. Per il Ruanda potrebbe essere l’occasione per seguire questi paesi e comprendo bene l’interesse attorno alla F1».

Fra i maggiori “sponsor” della gara c’è ovviamente Lewis Hamilton, sette volte campione del mondo F1, da sempre attento ai problemi di inclusione e opportunità per i meno fortunati: «Fra i paesi in Africa che ho visitato, è uno dei miei luoghi preferiti. Ho lavorato molto dietro le quinte e ho parlato con persone in Ruanda, così come in Sudafrica. È un processo lungo – ha aggiunto – ma è splendido che siano così desiderosi di far parte del calendario F1». C’è anche un altro rischio e riguarda i diritti umani. Dice a Nigrizia Victoire Ingabire, figura chiave delle opposizioni estromessa dall’ultima corsa elettorale sulla base di una vecchia condanna per terrorismo e negazionismo del genocidio del 1994: «Non mi oppongo a un’eventuale investimento della F1 in Ruanda, al contrario, ne sarei felice. Ma chiedo alla F1 di insistere affinché il Ruanda migliori la sua politica di rispetto dei diritti umani prima di prendere qualsiasi decisione».

Tempi di realizzazione del progetto? «Ci vorranno almeno due anni se tutto fila liscio – dice un esponente di Liberty Media – devono essere soddisfatte molte richieste, dalla sostenibilità ambientale del progetto, agli investimenti e alla effettiva creazione di posti di lavoro e benefici per le popolazioni locali. Sud Africa o Marocco? Abbiamo avuto richieste da parte di questi Paesi, ma non hanno soddisfatto le garanzie necessarie. Il Ruanda al momento è in pole position».

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