Vincendo la nona gara della stagione Lewis Hamilton è a un passo (mancano 9 punti) dalla conquista del terzo titolo mondiale e grazie alla penalizzazione di Raikkonen, quinto al traguardo dopo una toccata con Bottas, la Mercedes festeggia in anticipo di quattro gare il secondo titolo mondiale costruttori. Peccato che nella festa in grigio sia mancato Rosberg, ritirato per un guasto all’acceleratore (lo stesso di Hamilton a Singapore?) ma quello che emerge dal GP di Russia, con la presenza di Vladimir Putin sul podio, è che la F.1 attuale è una perfetta macchina da guerra diplomatica. Infatti, a margine del GP, il presidente russo si è incontrato con l’emiro di Abu Dhabi, presente in loco per definire alcuni aspetti del prossimo GP del 29 novembre e con l’entrata in calendario del GP a Baku il prossimo anno, si capisce come dal ping pong dell’epoca Nixon con la Cina si sia passati alla F.1 dell’era moderna per discutere di geopolitica. Lo ha detto a chiare lettere il direttore di Silverstone, altro GP storico che rischia di saltare dal calendario delle corse a causa dei troppi debiti accumulati (e parliamo del GP d’Inghilterra, patria della F.1 attuale): ”I gran premi non vanno là dove c’è una cultura e una tradizione, con un pubblico di appassionati pronti a supportarla ma va là dove ci sono interessi economici e politici che, al contrario della passione, hanno un termine ben preciso. Una volta finiti gli interessi, non c’è più ragione di continuare con la F.1 e le recenti vicissitudini lo dimostrano”. Il riferimento è a gare entrate e sparite in maniera lampo dal calendario: il GP d’India, soli tre anni di corse ma con un impianto costato 300 milioni di euro, terreni espropriati e una lunga serie di proteste dei contadini affamati. Ora è una cattedrale nel deserto, con terreni non più coltivabili e strutture in disfacimento. Il GP di Corea, altro esempio di inutilità faraonica che dopo quattro anni ha chiuso i battenti. E pensare che la Corea è uno dei principali costruttori di auto al mondo (Kia e Huyndai per esempio) e politicamente lo sfregio alla Corea del Nord era evidente. Eppure anche qui, 200 milioni di euro per la costruzione di un circuito cittadino (senza che ci fosse attorno alcuna città…) e strutture in disfacimento visto che non si corre mai. In compenso crescono le ambizioni del Qatar, anche perché fra i fondi azionari pronti a comprare il circo F.1 (otto miliardi di euro il valore) c’è anche quello dell’Emiro che da tempo preme per un GP nella sua regione oltre a quello della MotoGp. Ci sono le proteste e gli ostacoli frapposti dallo sceicco di Abu Dhabi e anche dei regnanti del Bahrain (imparentati) e con un notevole flusso di danaro in circolazione. Se per Monza e Silverstone si discute sui 25 milioni di euro, in queste zone pagano già 45-50 milioni e con una F.1 affamata di soldi, la logica dice già come andrà a finire. Probabile che col Qatar, che potrebbe acquistare la F.1 in blocco, una soluzione si trovi. E in un contesto del genere, con lo scenario geopolitico in movimento e i GP visti come occasione di visibilità internazionale, ha ragione il direttore di Silverstone quando teme la scomparsa della F.1 dall’Europa: Francia e Germania son saltate, anni fa toccò al Belgio, poi rientrato, Italia e Inghilterra a rischio. Ma Mercedes ha vinto il mondiale, la Ferrari è seconda con Vettel dopo una splendida gara, secondo voi le macchine più prestigiose e costose dove le vendono? Appunto, Abu Dhabi, Russia, Qatar… E questo spiega perché la F.1 da fenomeno sportivo commerciale è diventata la vetrina degli interessi politico commerciali ed è merce di scambio per giochi che vanno al di là di un Hamilton che vince o una Ferrari che insegue.