Il bassorilievo di Shapur I: l'imperatore Valeriano viene catturato e umiliato dal re persiano. Non era mai successo. - CC-BY-SA Wiki Commons
Grazie a un pugno di rozzi barbari l’impero romano si salvò, tornando all’antico vigore dopo 50 anni di caduta libera verso la dissoluzione. Avveniva a metà del III secolo dopo Cristo, quando decenni di anarchia militare avevano prodotto una serie di “imperatori” durati pochi mesi, invariabilmente assassinati dai loro stessi soldati. Incursioni, pestilenze, inflazione e imperatori deboli sul trono fecero il resto, sprofondando l’impero verso l’abisso. «Non stiamo parlando del 476, l’anno della caduta definitiva di Roma, ma di duecento anni prima: questa volta poi Roma se la cavò, appunto per un pugno di barbari geniali», spiega Marco Cappelli, divulgatore storico e autore di “Storia d’Italia”, seguitissimo podcast che racconta secoli di vicende tra colpi di scena e verve narrativa, come ha fatto ieri al Festival èStoria di Gorizia, riassumendo le 474 pagine del suo saggio intitolato appunto “Per un pugno di barbari” (ed. Solferino).
Cos’è la “crisi del III secolo” e perché è poco ricordata?
È il confine tra chi ama l'antichità e chi non ama quello che viene dopo. La discontinuità con il periodo precedente infatti è tale da rendere irriconoscibili i romani del "tardo impero". In sostanza Roma è colpita da una crisi talmente esistenziale che cambia tutto, dal modo di vestire a ogni aspetto della vita quotidiana. Basti dire che i romani del tardo impero portano i pantaloni, infatti noi non li rappresentiamo mai così perché non ci sembrano romani. Avevano scoperto i pantaloni dai Galli e li avevano trovati comodi e caldi. Cambia anche il modo di combattere: i romani erano persone molto pratiche, pronte ad adeguarsi alle nuove necessità quando qualcosa non funzionava più, così passano alle “spathae” (da cui il termine spada), lance lunghe e di taglio, al posto del gladio che era di punta, il che permette di tenere una distanza maggiore dal nemico. Cambierà a breve anche la religione e questa sarà la discontinuità più importante: prima della crisi del III secolo resistevano i classici dèi pagani, ma ora l’impero si avvia a diventare cristiano (lo farà nel giro di pochi anni con Costantino), e allora muta anche l’aspetto delle città, con le cattedrali cristiane, costruite in periferia, il foro perde di importanza. Insomma, la crisi del III secolo è causata da una serie di fattori a effetto domino, che si rafforzano l’uno con l’altro.
Quali sono i fattori devastanti?
Intanto due pandemie spaventose, l’economia va a rotoli, le frontiere vengono soverchiate ovunque e la crisi politica è così caotica che gli imperatori si avvicendano con una frequenza da primo ministro italiano! Ma mi sono divertito a ridare un volto proprio a questi imperatori, ognuno convinto di durare a lungo e riuscire ad applicare il proprio progetto politico per sanare la situazione, spesso anche con buone idee, ma tutti assassinati poco dopo. Trovo molto più interessante un imperatore come il povero Gallieno, che si trova a governare nel caos più totale e deve inventarsi un modo per non far crollare del tutto l’impero, che non un Traiano, che dietro aveva una macchina militare perfetta. A volte noi parliamo di ottimo o pessimo imperatore basandoci sulla durata, ma ci dimentichiamo quali sono le difficoltà che hanno dovuto affrontare. La prima pandemia, la cosiddetta “peste antonina” di vaiolo, è il principale innesco del tracollo: scoppia ai tempi di Marco Aurelio, quindi alla fine dell’epoca d’oro dei “cinque buoni imperatori” (Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio) e uccide il 20% della popolazione. Però da sola non avrebbe affondato l’impero, che era ancora un corpo sano, ma nel frattempo i nemici germani e persiani sono diventati molto più formidabili che in passato e Roma non riesce più a difendere le frontiere. Questo porta a dover spendere più soldi. Ma come sappiamo la popolazione si è ridotta del 20%, quindi anche le entrate. Come fare, visto che almeno la metà della spesa pubblica romana foraggia l’esercito? L’unico modo per produrre più monete – a meno di non scoprire nuove miniere – è ridurre la percentuale di oro e argento nelle monete stesse, che diventano di latta e si svalutano, i prezzi esplodono. Non era mai successo, nei secoli della pax romana l’inflazione era stata così bassa che i romani pensavano che il prezzo delle cose fosse un valore intrinseco immutabile, quando questo non avviene più non capiscono cosa stia accadendo. Il denario di Gallieno (253-268 d.C.) ha il 2% di argento, è il peggiore mai prodotto! Così si torna allo scambio in natura, meglio essere pagati con due pesci, anche lo Stato rifiuta le sue stesse monete “fasulle” e pretende che le tasse si paghino in anfore e grano, persino l’esercito è stipendiato con armi, vestiti e vino... A questo si aggiunge una crisi politica senza precedenti: da un sistema in cui gli imperatori erano eletti dal Senato insieme ad altri attori politici e all’esercito, all’improvviso contano solo i soldati, ogni esercito elegge il suo imperatore, le rivolte militari si susseguono. Come vede, l’impero ora non è più il corpo sano della prima pandemia, e proprio adesso arriva la seconda.
Un particolare del sarcofago "Grande Ludovisi" (sec. III) che rappresenta una scena di battaglia tra romani e barbari - Wiki Commons
Veramente una somma di disgrazie…
La peste di Cipriano infuria dal 249 d.C., 80 anni dopo la peste antonina, e adesso i guai si assommano. I generali romani arrivano a saccheggiare le loro stesse città perché non sanno come pagare i soldati, e a un certo punto accade una cosa inaudita: l’imperatore, Valeriano, viene catturato dai persiani di Shapur I sul campo di battaglia e portato via prigioniero, non era mai successo prima! Chi comanda adesso? In Persia c’è un bellissimo bassorilievo in cui Shapur I è sul cavallo e Valeriano si inginocchia davanti a lui. Lattanzio racconta che il re persiano usò Valeriano come sgabello per montare a cavallo e poi, dopo la morte, lo fece impagliare come trofeo, un’umiliazione senza precedenti. Tra l’altro tutto il suo esercito era stato catturato con lui, le altre regioni dell’impero erano sguarnite, la Gallia si elegge un suo imperatore, il povero Gallieno, figlio di Valeriano, si ritrova solo l’Italia, l’Oriente allo sbando si mette nelle mani del re di Palmira. Il giocattolo è spezzato in tre, non sarà facile rimetterlo insieme.
Diceva prima che Gallieno è un imperatore interessante…
Prima di morire assassinato dai suoi soldati fa riforme importanti. Rendendosi conto di poter difendere al massimo l’Italia, si trasferisce da Roma a Milano, vicino alle Alpi, e lì forma un corpo di cavalleria mobile di decine di migliaia di uomini, per intervenire con rapidità su qualunque frontiera. È una mossa emergenziale ma intelligente. Poi si inventa la meritocrazia: da sempre i romani davano le cariche apicali solo ai senatori, magari incapaci ma ricchi, se eri un soldato molto abile al massimo potevi aspirare a diventare centurione; Gallieno invece eleva i migliori soldati a comandanti delle legioni perché ha bisogno di persone bravissime a combattere, e da questa novità a breve deriverà proprio la classe dirigente che salverà l’impero, prima militarmente poi politicamente, cioè gli Illiri: il pugno di rozzi barbari del titolo.
È veramente tutto sovvertito. Chi sono gli Illiri?
Gli abitanti dell’Illyricum, gli odierni Balcani, uomini di estrazione bassissima, contadini che si sono arruolati per sbarcare il lunario, i cui genitori non erano nemmeno cittadini romani. Questi soldati formano la classe nuova dirigente che sostituisce quella italica: quasi tutti gli imperatori dopo Gallieno vengono dall’Illyricum, Costantino è illirico, e pure Diocleziano, nomi giganteschi! Tra di loro c’è quello che ritengo l’imperatore più grande della storia romana, Aureliano.
Qual è il miracolo del barbaro Aureliano?
In soli cinque anni (poi verrà assassinato dai suoi pretoriani nel 275) riunifica i pezzi e li fa sentire di nuovo parte dell’impero, riforma la moneta, sconfigge il regno di Palmira, batte le invasioni barbariche dei Goti, a Roma costruisce le Mura aureliane e doterà le città di fortificazioni possenti. Dobbiamo ad Aureliano anche il 25 dicembre come festa del Sol Invictus al quale in futuro il Cristianesimo sovrapporrà il Natale di Gesù: in nuce ci sono già gli elementi che porteranno a Costantino. È tanto amato che il senato gli dà il titolo di Restitutor Orbis, il Restauratore dell’ordine mondiale. Se non fosse stato ucciso, avrebbe messo fine alla crisi del III secolo, invece lo farà Diocleziano.
Il grande Diocleziano, altro barbaro illirico?
Illirico, di bassissima origine, e straordinario: dà due secoli di vita in più all’impero d’Occidente e mille anni a quello d’Oriente. Reazionario, vorrebbe portare indietro il tempo di cento anni, all’epoca di Marco Aurelio, ma per tornare indietro è costretto a innovare. Parte del lavoro lo hanno già fatto Gallieno e Aureliano, ora ha bisogno di un esercito poderoso per sconfiggere finalmente i persiani e rendere di nuovo Roma inattaccabile, però per questo deve aumentare le tasse senza fomentare rivolte. Come fa? Decide che devono pagare tutti ma equamente, per cui organizza un enorme censimento in tutto l’impero, non semplice come quello di Augusto: quanti sono gli abitanti, cosa possiedono, che animali allevano, quanto misura ogni singolo terreno, cosa produce ogni proprietà, così la tassazione si basa sulla vera situazione economica. Prima Roma aveva un sistema fiscale molto ineguale, se abitavi a Rodi pagavi poco perché l’isola era stata alleata di Roma, in Gallia pagavi tanto, inoltre si stabilivano le tasse su vecchi assunti mai aggiornati, magari le condizioni economiche era cambiate… Diocleziano aggiorna i registri ogni 15 anni, e ha i soldi per permettersi l’esercito più vasto della storia romana, mezzo milione di soldati. Il suo sistema fiscale verrà utilizzato ancora ai tempi delle Crociate e per tutto il medioevo gli anni del calendario verranno contati in base al ciclo di 15 anni dei censimenti (le indizioni). Anticipa i tempi anche stabilendo la sua sede in Oriente ben prima di Costantino, a Nicomedia, poco distante dalla futura Costantinopoli, e da lì governa. Diocleziano è l’unico che abdica e va in pensione volontariamente, si ritira a Spalato, in Dalmazia, dove tuttora sorge il suo magnifico palazzo, morendo di morte naturale. Ha sempre detestato Roma, c’è andato, sì, ha inaugurato le terme di fronte alla Stazione Termini con una grande festa, ma non vedeva l’ora di andarsene. Questi barbari illirici venuti dal nulla sono i nuovi romani, gente che crede in Roma con la foga del convertito, mentre il centro ancora ricco, sofisticato, ma moralmente svuotato, è già imploso.
Il saggio di Marco Cappelli - M.C.