giovedì 15 maggio 2014
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Cose dell’altro mondo, inteso come Australia. Robe da finimondo, vista la “strage” di corridori e bici sulle strade del frusinate. La tappa con il traguardo a Montecassino doveva essere uno dei pochi “trasferimenti” del Giro d’Italia. Una frazione tranquilla, anche se la più lunga, con accensione delle micce solo nella salitella finale per conquistare una fugace gloria giornaliera e qualche spicciolo di abbuono. Invece, si trasforma in una delle tappe decisive della corsa, almeno per qualcuno, estromesso definitivamente dalla classifica. È decisiva per Michael Matthews, il sorprendente 23enne australiano che vince in maglia rosa e varca i confini della sua acerba dimensione atletica: da oggi non sarà più solo un giovane e promettente velocista. E decisiva è anche per il connazionale Cadel Evans che accumula quasi un minuto di vantaggio e intimorisce i rivali con la grinta di chi è sempre attento a cogliere ogni occasione per mettere in difficoltà gli avversari. Montecassino è lo spartiacque per la corsa di Joaquin Rodriguez, arrivato al traguardo con quasi 8 minuti di ritardo dopo la gigantesca caduta che condiziona la corsa. Il Giro perde uno dei favoriti, gli altri si salvano ma ne escono con le ossa rotte (metaforicamente), contusioni varie (reali) e il morale a terra (tangibile). È un finimondo quello che si abbatte sulla corsa poco prima di iniziare la salita. Piove, come al solito in questa bizzarra primavera, il gruppo si avvicina ad una rotatoria a forte velocità e fa strike. Tutti giù per terra, a parte quelli davanti che continuano a pedalare a testa bassa senza nemmeno perdere tempo a voltarsi per vedere chi c’è e chi no. Evans è davanti e ha due gregari che tirano in apnea, alla sua ruota c’è Matthews, incredulo di stare incollato a quello che fino a un paio di anni fa era un mito. La volata non ha, non può avere altro esito. Diversamente dalle conseguenze che potrebbero avere molte tappe, sempre più spesso falcidiate dalle cadute. Ed è su questo tema che dovrebbero fermarsi un attimo a riflettere corridori e tecnici. Ormai le cadute sono diventate il leitmotiv delle grandi corse a tappe, le ragioni sono ben conosciute agli addetti ai lavori e forse è il caso di correre ai ripari prima che il ciclismo diventi uno sport estremo. Non basta invocare sicurezza agli organizzatori solo quando piove e la strada rischia di diventare viscida.
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