Il Giro è arrivato al secondo giorno di riposo ma è come se dovesse ancora partire. Nove tappe corse fra l’Irlanda e il sud Italia hanno solo decretato la fuga di Joaquin Rodriguez, ma non verso il traguardo, il campione spagnolo ha fatto le valigie e se ne è tornato a casa: a Montecassino è caduto raccattando ferite e minuti di ritardo, troppo per un morale che pedalava già a filo d’asfalto.
A contendersi la maglia rosa sono rimasti solo Cadel Evans e Nairo Quintana. L’australiano fino ad ora è l’unico che ha dato un senso alla sua presenza sbracciandosi per mettere fieno in cascina in vista della probabile carestia a cui andrà incontro nell’ultima settimana. Il colombiano, invece, si è mimetizzato in gruppo suscitando anche qualche interrogativo sulla sua condizione, più che legittimo visto che sembra un lontano parente dell’incontenibile attaccante del Tour dell’anno scorso.
È vero che Il Giro si deciderà negli ultimi giorni quando apparecchierà così tante salite da far venire la nausea, ma è altrettanto vero che nelle prime due tappe di montagna nessuno ha avuto il coraggio di sondare la condizione degli avversari. Nessuno tranne il francese Rolland, nella frazione del Carpegna, e Pozzovivo, a Sestola. È mancato il coraggio e pure la fantasia, soprattutto a quei corridori destinati al piazzamento che sono rimasti inermi con il bilancino in mano per dosare le energie: corrono già per quel piazzamento, si accontentano dell’uovo anziché tentare di prendersi la gallina, certo il rischio di restare con le piume in mano è grande, ma se non si azzarda non si potrà mai sperare nel colpaccio. Tutt’al più possono sperare che quelli davanti cadano o vadano in crisi.
Un piazzamento nei primi cinque della classifica consente di strappare un buon contratto per l’anno successivo, soprattutto se si è giovani, uscire dai primi dieci lascia le tasche vuote. Ecco perché molti corrono al risparmio e lo faranno fino alla fine della corsa.
Il Giro, quello vero, doveva cominciare sul Carpegna, invece, ha rinviato tutto alla cronometro di giovedì, da Barolo a Barbaresco. Pedalando da soli, per 42 chilometri sulle colline delle Langhe, nessuno potrà più giocare a nascondersi: sarà quello il primo vero termometro di questo Giro.
Intanto, martedì i velocisti si contenderanno una delle ultime occasioni per alzare le braccia. A Salsomaggiore Terme la tensione sarà più alta rispetto agli sprint precedenti, fino ad ora sempre correttissimi: chi non ha ancora vinto cercherà traiettorie impossibili per tagliare per primi il traguardo, con la corsa rosa se ne va una parte importante della loro stagione e chiuderla senza un successo significherebbe vedere il proprio bilancio sprofondare verso il passivo. Questo Giro si era presentato come un’occasione importante per gli sprinter di “seconda fascia”: fra i big del rettilineo si era schierato al via il solo Kittel, il quale dopo due sprint vinti da dominatore ha anche fatto la cortesia di andarsene.
E a proposito di Kittel, e del suo frettoloso abbandono, il ciclismo e il suo seguito ha dato l’ennesima prova di autolesionismo, perché nessuno sport sa farsi tanto male. Basta che un corridore si ritiri inaspettatamente dopo aver dimostrato di essere nettamente più forte degli altri per spalancare le porte del sospetto.
E il sospetto è sempre quello: il doping. È vero che il ciclismo su questa materia ha offerto performance notevoli ma nessun cronista di qualsiasi altro sport si azzarderebbe mai a paventare qualche sospetto davanti a una situazione simile. Così, come succederebbe il finimondo in molte altre discipline se gli ispettori dell’antidoping si presentassero alle sei di mattina svegliando un atleta, fra i candidati alla vittoria, per di più dopo sole quattro ore di sonno a causa del trasferimento. È quello che è successo a Diego Ulissi prima della partenza della nona tappa da Lugo: il giovane talento azzurro è rimasto “stordito” per tutta la corsa e ha avuto paura di giocare le sue carte fino in fondo facendosi aiutare dalla squadra a rintuzzare la fuga. A Sestola, poi, Ulissi è arrivato quarto, primo del gruppo, accrescendo rammarico e rabbia anziché il numero delle vittorie.