«La nostra gente ci ha raccontato, caro Gesù Bambino, che appena nato apristi gli occhi e subito vedesti tutto in tutti, dentro e fuori, in cielo e terra; e comprendesti i cuori e le menti e quel che si pensava e si diceva nelle varie lingue del mondo. Perciò si usava rivolgersi a te, sicuri che tu capissi ogni necessità di vita e sapessi già in che modo si stia sulla terra. Quale sorte abbia ognuno e come tu stesso saresti finito. Non per nulla i pittori per dipingerti ti hanno posto tra le manine una croce, come se per te altro giocattolo non ci fosse fuorché quel triste supplizio che ti attendeva. Nell’attesa della tua nascita le famiglie si stringevano attorno al presepe, rinnovando ogni volta le speranze alla luce del segno divino che tu recavi. Si festeggiava soprattutto nell’intimità delle case, oltre che nelle chiese, per le vie e per le piazze. Purtroppo i misteri gaudiosi non duravano tanto: sopraggiungevano quelli della passione, del dolore, dopo il gran fuoco di paglia del carnevale. Sparivano dal presepio angeli, pastori e gli altri. Restavi tu coi tuoi genitori, tra l’asino che vi aveva portati alla grotta e quel bue che non si sapeva a chi appartenesse. Si pensava che forse i tuoi vagiti non si mescolarono tanto con cori celesti e voci di umana esultanza, tra profumi di rose e d’incenso, quanto invece con belati, ragli, muggiti d’animali, nell’odoraccio di stalla. Nell’umiltà sublime del tuo mistero sarai stato solo come ogni bambino di povera gente alla sua nascita; così come solo sarai ad angosciarti nell’Orto degli Ulivi, la sera quando i tuoi stessi discepoli si sarebbero arresi alla tristezza e al sonno; e poi ancora sul calvario, nell’ora tremenda in cui ti saresti sentito abbandonato dallo stesso Dio che in te si è fatto carne. Poi lungo i secoli sarebbero arrivati tantissimi uomini ad affollare il luogo della tua nascita e della tua passione. Sarebbero giunti da ogni parte del mondo come i re magi, ciascuno seguendo la propria stella e con il dono dell’anima da offrirti. Alla grotta della tua nascita, ecco, non solo quelli del presente di allora, ma anche Adamo ed Eva, i patriarchi i profeti, e altra gente del passato, risorti o rinati nel tuo nome, e con loro pure quanti dovevano ancora nascere, il Poverello d’Assisi, santi e sante a non finire, e perché no, Pulcinella, Arlecchino e tanti altri ancora. Ma in una delle cosiddette 'parabole di popolo' si racconta che tu, andando poi per il mondo, accettasti una sera con alcuni tuoi discepoli di cenare presso il pagliaio di un contadino che vi offrì il poco pane e poco vino che aveva. Sentito chi eri tu, il contadino si sfogò a ripetere gli interrogativi di Giobbe. Ti domandò perché mai gli innocenti soffrono e periscono mentre i peggiori farabutti prosperano a dispetto della religione e di ogni principio di giustizia. Ti domandò se Dio non ci abbia per caso creati per divertirsi a vederci soffrire. Mostrò che un prepotente signorotto del luogo gli aveva devastato il campicello e con i suoi picciotti e campieri l’aveva avvertito che avrebbe dato fuoco al pagliaio con lui dentro. «Che vorresti fare, tu?», gli chiedesti. E il contadino: «Niente, che può fare un povero come me? Vorrei almeno cantargliele chiare a Colui che ci ha creati e al criminale e che mi ha tolto la pace e tutti e mi minaccia di morte, cantarle chiare le ingiustizie e le sofferenze di noi poveri al Cielo e al mondo, ed essere magari ascoltato». «Per fare questo, gli spiegasti, dovresti essere poeta, perché in questo mondo solo il poeta può dire la verità senza paura di nessuno». Tu , Gesù, allora gli desti il dono della poesia. La parabola conclude che grazie al dono della prodigiosa poesia da te avuto, l’uomo ebbe fatta giustizia e potè godersi pace e gioia nella vita. Sarà stato proprio così? Se ne dubita. Sofferenze e ingiustizie continuano nel mondo. La voce dell’uomo non sembra essere stata ascoltata. Piuttosto anche per Te si direbbe sia vicina, come tu dici nel Vangelo, «l’ora in cui mi abbandonerete, e io sarò solo». Molti non credono neppure che tu sia nato e continuano ad aspettarti… mentre Tu, si direbbe, stia ad aspettare loro e tutti, perché possa tornare a nascere nella mangiatoia del cuore di ognuno. Fortunato Pasqualino