venerdì 19 ottobre 2018
Una rassegna itinerante arriva in Veneto e presenta la collezione del danese Hansen, che annovera i maggiori pittori del secondo Ottocento
Paul Gauguin, "Ritratto di giovane donna" (1896, particolare)

Paul Gauguin, "Ritratto di giovane donna" (1896, particolare)

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C’è oltre mezzo secolo di storia dell’arte francese, e della migliore, nella mostra Gauguin e gli Impressionisti. Capolavori dalla Collezione Ordrupgaard allestita a Padova a Palazzo Zabarella a cura di Anne-Birgitte Fonsmark e Fernando Mazzocca (fino al 27 gennaio). La mostra (catalogo Marsilio) prende le mosse dal neoclassicismo di Ingres e dal romanticismo di Delacroix per approdare al post-impressionismo e a Matisse mettendo in fila quella serie di capolavori che viene considerata oggi una delle più belle raccolte europee di arte impressionista A metterla insieme è stato un uomo d’affari danese, Wilhelm Hansen, che in appena due anni, dal 1916 al 1918, raccolse opere di maestri cha vanno da Manet a Cézanne, da Degas a Monet, da Renoir a Gauguin. Qualche anno dopo, in seguito a difficoltà finanziarie, Hansen fu costretto a disfarsi di gran parte della raccolta che tuttavia riuscì a ricostituire, appena raggiunta la stabilità economica, acquisendo nuovi capolavori (tra questi, presenti in mostra, il Ritratto di George Sand di Delacroix, Il lottatore di Daumier, il Capriolo nella neve di Courbet, lo studio di Renoir per il celebre Le Moulin de la Galette). La collezione venne considerata completata nel 1931 con l’acquisto di un pastello di Degas. «Ora ho finito con gli acquisti» disse Hansen.

Una sessantina di queste opere ha da qualche tempo intrapreso un giro per il mondo in una mostra itinerante che ha toccato la Francia e il Canada e dopo il nostro paese farà tappa in Svizzera e nella Repubblica Ceca per poi fare ritorno all’Ordrupgaard Museum, a nord di Copenaghen, la sede della collezione diventata pubblica con la sua donazione allo stato da parte della moglie di Hansen alla sua morte. Protagonista dell’esposizione, come il titolo sottolinea, è Gauguin di cui sono presentate otto opere che circoscrivono il suo intero percorso creativo. A partire dal ritratto della figlia Alina dal titolo La piccola sogna del 1881, anno in cui espone alla VI mostra impressionista ed è allievo di Pissarro da cui presto si allontanerà, prendendo le distanze dall’impressionismo anche se continuerà a essere attratto dalla sottigliezza cromatica di Degas e dal vigore delle forme semplificate di Cézanne.

Rivoluzionario in perenne conflitto con la morale comune, anima inquieta e profondamente malinconica, costantemente alla ricerca del paradiso perduto, Gauguin non è affascinato dalle variazioni atmosferiche che possono alterare i tratti di una fisionomia, la stabilità plastica di un paesaggio o minacciare l’integrità degli elementi nelle nature morte. Ciò che lo interessa è la ricerca di un “altrove”, dalla sua capacità di rendere una seconda realtà, percependo nella natura ciò che l’intelletto positivista non avrebbe mai saputo individuare. L’intensità cromatica, la piattezza del modellato priva di ombre («le ombre sono il trompe l’oeil del sole, io le cancello», dirà), la fascinazione dell’esotismo genera uno stile che sostituisce alla descrizione la suggestione e mescolando elementarità e intellettualismo ambisce a distillare, in un ordine abbreviato di colori e di forme, immagini concise e pregnanti. Lo chiamerà “sintetismo”. «L’arte è astrazione – dirà –, devi trarla dalla natura, sognando davanti a essa, pensando più alla reazione che ai risultati».

Nasce da questa considerazione un’opera fondamentale attorno alla quale ruota l’intera esposizione. Si tratta di Alberi blu. Verrà il tuo turno, bellezza! del 1888 fortemente ispirata da Vincent van Gogh durante il periodo trascorso insieme nella Casa gialla di Arles. Dunque, Gauguin accentua la sua disposizione all’introspezione e alla malinconia, vuole ricreare un’età mitica regredendo a uno stile elementare, anche se interiormente grandioso, sempre più ricco di associazioni tese a creare quella complessa struttura di simboli che presiede all’evoluzione della sua arte. Del resto il simbolismo letterario ha trovato in poeti come Mallarmé e Verlaine gli alfieri del rifiuto dell’oggettività del reale. «Definire un oggetto è sopprimere tre quarti del godimento, suggerirlo, ecco il sogno», dirà Mallarmé. Un sogno che Gauguin insegue fino alle conseguenze più estreme. La rivolta contro la prigionia di una realtà codificata lo induce a peregrinare in luoghi lontani alla ricerca del mitico giardino dell’Eden. Il 4 aprile 1891 si imbarca per Tahiti, alla ricerca di una civiltà che, in un sogno alla Rousseau, rappresenti il luogo della purezza originaria. Parte nel momento in cui Albert Aurier, in un articolo che è soprattutto un manifesto dell’arte simbolista, consacra il pittore come iniziatore di essa, così come la forza e l’autonomia del disegno e del colore, il ricorso all’immaginazione e all’inconscio, l’esotismo ispireranno le generazioni future. A partire dai fauves (in mostra c’è Fiori e frutta, una coloratissima natura morta del 1909 di Matisse) che scopriranno l’arte di Gauguin grazie all’esposizione parigina delle sue opere nel 1906.

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