ANSA
Quanto accaduto nel duomo di Milano il 14 giugno scorso offre più di uno spunto di riflessione, che sarà bene sviluppare andando oltre l’emotività e le contrapposizioni viscerali, come suol dirsi “a bocce (quasi) ferme”. Qui mi limito a segnalare una tematica che, a mio parere, interpella la teologia. Quando nel 2009, mentre si recava nella Repubblica Ceca, papa Benedetto XVI, rispondendo ai giornalisti, affermò che sono le “minoranze creative” a determinare il futuro, si è pensato di poter legittimamente contrapporre questa visione del Cristianesimo alla sua versione di “religione civile”. Una valutazione più attenta delle due espressioni consente oggi, anche alla stregua della forte constatazione di papa Francesco circa il fatto che “non siamo più nella Cristianità!”, di distinguere fra minoranza creativa, riferita alla fede, e valenza civile della stessa, riferita alla religione.
Ma non viene il dubbio che sia stato sempre così? In ogni caso la cosiddetta “religione civile” fa capolino tutte le volte che la simbolica cultuale cristiana si innesta su strutture e istituzioni proprie della società civile. Eccone alcuni esempi. Un momento nel quale tale incrocio si è potuto sperimentare, con esiti inquietanti, è stato quello del “triste sermone” pronunziato dal patriarca Kirill all’inizio della Quaresima del 2022, nel tentativo disperato di dare un senso, addirittura “metafisico”, a una guerra che di giorno in giorno si svela priva di senso. Qui il rapporto Chiesa/Stato ha rivelato tutti i rischi in cui incorre una sorta di cesaropapismo redivivo. Per quanto guardiamo con rispetto ed attenzione alla teoria orientale-ortodossa (in questo caso russa) della “sinfonia”, come cifra atta a designare tale rapporto, bisogna che prendiamo decisamente le distanze da un tale modello, anche a costo di remare contro corrente.
Due ulteriori occasioni che possono far riflettere sul tema sono state offerte dal funerale della regina Elisabetta e dall’incoronazione di re Carlo III. Il contesto rituale anglicano ha fornito una suggestiva cornice ai due eventi. Nonostante il rischio dello smarrimento del significato più profondo di tale ritualità, non sono venute meno occasioni stimolanti una percezione del senso, oltre la rappresentazione coreografica e mondana, che le televisioni di tutto il mondo hanno proposto. Nel primo caso non si è mancato di ricordare l’adesione credente e convinta della regina alla propria appartenenza anglicana, nel secondo, per quanto stridente con il fasto circostante, il messaggio evangelico del voler servire piuttosto che essere servito è risuonato nell’assemblea e forse, proprio perché distopico rispetto al contesto, ha magari destato l’attenzione di qualche non distratto spettatore. Inoltre, sempre in occasione dell’incoronazione, si è inteso sottolineare e mettere in rilievo la dimensione interconfessionale e interreligiosa, con l’aver coinvolto nella preghiera per il re e la nazione esponenti di diverse appartenenze.
Infine, e più alla nostra portata, i funerali dell’imprenditore/ex-premier. In questo caso, come in altri analoghi (spesso occasionati da esequie e anche questo è un segnale) la chiesa non si è limitata a offrire una cornice, ma ha cercato di proporre una riflessione sul senso dell’evento, soprattutto nella breve, ma incisiva omelia, dell’arcivescovo. Ho trovato ingiuste alcune critiche, che hanno sottolineato la valenza piuttosto “antropologica” che “cristiana” di questa predicazione, rilevandone una certa “furbizia” retorica. E tuttavia non è mancato un anelito critico, proprio nel momento in cui si è detto a chiare lettere che l’imprenditore tende al guadagno, il politico al potere e così via. Il richiamo alla caducità è risultato centrale in quell’omelia ed era destinata a raggiungere soprattutto i presenti, credenti e non. Finché ci saranno personaggi pubblici, della cui fede non possiamo giudicare (nel canone della messa, ricordando i defunti, diciamo “dei quali tu solo hai conosciuto la fede”), che ritengono, a ragione o a torto, di richiamarsi al Cristianesimo, non potremo certo liberarci della, spesso a torto deprecata, “religione civile”.
Ai suddetti eventi di rilievo internazionale, per designare tale forma di religiosità possono richiamarsi ad esempio la partecipazione alla festa del patrono o alla processione del Corpus Domini di sindaci con la fascia, gonfaloni dei comuni, vigili in alta uniforme... Forse si tratta di comportamenti in via di estinzione, ma non siamo così iconoclasti dal volerli denigrare, senza affrontare l’ingrato compito di educarli. Del resto, chi riflette teologicamente su questi eventi non può non chiedersi se e come nell’involucro della rappresentazione cultuale, pubblica, “di stato” non possa celarsi una fede autentica, magari in quella “minoranza creativa” che avrà vissuto in maniera autentica una celebrazione come quella del 14 giugno scorso.