giovedì 10 febbraio 2022
L’ultimo libro a cui lavorava il grande erudito francese prima di morire è una meditazione sulla storia come risalita alle fonti che offrono saggezza all’uomo e vincono l’impulso della guerra
Lo storico della letteratura Marc Fumaroli (1932-2020)

Lo storico della letteratura Marc Fumaroli (1932-2020) - WikiCommons

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Il libro Dans ma bibliothèque. La guerre et la paix (préface de Pierre Laurens; Les Belles Lettres/Éditions de Fallois, pagine 460, euro 23,50), apparso postumo, di Marc Fumaroli (Marsiglia, 10 giugno 1932 - Parigi, 24 giugno 2020) è un estremo percorso nella biblioteca della memoria, tra gli autori più cari della propria formazione e della storia europea, la quale è interrogata a partire dal binomio che più acutamente nella prosa dei libri entra in scena, il desiderio di pace e il vivere in guerra come recita l’esergo del volume: «Balzac ha scritto: 'Senza neanche darsi il tempo di asciugarsi i piedi immersi nel sangue sino alla caviglia, l’Europa non ha forse ricominciato senza posa la guerra? Non si direbbe dunque che l’umanità, così lucida e ragionevole quale vuol apparire, incapace di sottomettere i suoi impulsi alla conoscenza, e i suoi odi ai propri dolori, si comporti come uno sciame di miserabili insetti continuamene attratti dalla fiamma?' (Paul Valéry, Risposta al discorso del maresciallo Pétain, 22 gennaio 1931). Non si tratta dunque di un viaggio pacificato nelle pagine memorabili della vicenda umana, come propone la Biblioteca della letteratura universale di Hermann Hesse, e neppure di un corredo per rendere più accogliente la 'storia universale' quale aveva disegnato Cesare Cantù nel suo affresco Della letteratura: discorsi ed esempi in appoggio alla Storia Universale, 1841; è piuttosto – bene indicano i due ritratti che chiudono il volume – la memoria ferita che da Achille (riletto alla luce dello Scudo di Achille di Wystan Hugh Auden, 1952) giunge all’epico epicedio di Vasilij Grossman, Vita e destino, 1980. La meditazione sulla storia di Marc Fumaroli si pone sotto il segno del virgiliano Sunt lacrymae rerum, e del resto un nucleo di saggi è dedicato a Enea, l’eroe in lutto. In effetti la guerra è il corteggio della morte e tutto il libro ruota intorno a quale ruolo dare a essa nella percezione del nostro destino: da un lato Fumaroli – in questo libro e in molte delle sue ricerche – riconosce il fascino dei versi di Corneille: «Il est temps de pencher du côté du bonheur, / De ne plus embrasser des destins trop sévères» ( Pertharite, IV, 6); dall’altro accede alla meditazione degli Essais (I, 20) di Montaigne: «Philosopher, c’est apprendre à mourir». Sullo sfondo l’eponimo dei romanzi che danno ragione e sostanza al binomio, e cioè Guerra e pace di Lev Tolstoj, che è – per Fumaroli – «una moderna Iliade cristiana, ove il Destino implacabile di Omero, che governa gli uomini e gli dèi, è trasferito e assorbito nel mistero del Dio d’amore cristiano, sopra la storia degli uomini»; nel suo fondo « Guerra e pace è un’epopea cristiana ispirata dall’orrore della guerra». Un altro dei centri essenziali della parabola è Fénelon, sia per l’'etica della storia' implicita nelle Aventures de Télémaque (più volte richiamato nel volume) sia per la saggezza della sua posizione in ordine a 'guerra e pace': «Un re interamente dedito alla guerra vorrebbe sempre guerreggiare: e per estendere i suoi domini e la sua gloria, porterebbe alla rovina i suoi popoli. A cosa serve a un popolo che il proprio re soggioghi altre nazioni, se si è infelici sotto il suo regno?» (lib. V). Posizione nettamente antimachiavelliana, che meglio ancora è spiegata nei paragrafi successivi, ove la pace appare pienamente giustificata dai frutti che essa apporta: «Sempre un popolo che abbia avuto un re conquistatore ha avuto molto a soffrire dalla sua ambizione. Un conquistatore, ebbro della propria gloria, manda in rovina quasi altrettanto la sua nazione vittoriosa che le nazioni vinte. Un principe che non abbia le qualità necessarie per la pace non potrà far gustare ai sudditi i frutti di una guerra felicemente conchiusa: egli è come colui che volesse difendere il proprio campo dal suo vicino usurpando quello del vicino stesso, ma che poi non sapesse né arare né seminare, sì da non raccogliere alcuna messe» (ibid.) In definitiva, la posizione di Fumaroli largamente partecipa dell’eredità erasmiana, della quale è stato interprete non solo per la centralità, nelle sue ricerche, della 'République des Lettres' che pare nutrita e intrinseca alla Respublica christiana, ma anche per un testo fondamentale per il tema in esame quale l’Institutio principis christiani, 1516, il modello opposto al Principe di Machiavelli. La pace soprattutto è il frutto dell’annuncio cristiano: Pax hominibus bonae voluntatis, e non meno il precetto che dovrebbe reggere la societas christiana, dilaniata invece dalle contese religiose e teologiche: «Se un pio sovrano fu macchiato dallo spargimento di sangue infedele, quale non sarà l’effetto di un così copioso spargimento di sangue cristiano?» (Erasmo, ibid.). Tale principio in fondo è ciò che governa, ancor oggi, l’equilibrio dei poteri in Europa, il bisogno – dopo gli stermini della II Guerra mondiale – di un’unità nuova, fondata sul rispetto, l’unione e la pace, che Fumaroli ricapitola attraverso il libro di Raymond Aron, Penser la guerre, Clausewitz. I: l’âge européen (Paris, Gallimard, 2009), dal quale trae questa osservazione finale: «La tendenza all’equilibrio non basta a prevenire la superiorità momentanea di uno Stato sugli altri; ma tal Stato finirà per perire dei propri stessi successi, poiché coalizza contro di sé la maggior parte degli altri membri della repubblica europea». Il libro, scritto negli anni più difficili della malattia che ha logorato il fisico dello studioso, è tuttavia un luminoso testamento e sintesi della civiltà europea, in ciò che essa ha di più convincente, la difesa del gratuito e generoso (la pace, il bello delle arti, la coscienza del bene) contro le pretese dell’utile: «Si devono perdonare meno errori a colui che non s’impegna se non nella speranza di produrre il bello, rispetto a coloro che sono obbligati a lavorare per produrre l’utile» ( Thierry Lefrançois, Charles Coypel, peintre du roi: 1694-1752, Paris, Arthéna, 1994). Questa costante difesa dei frutti della pace e delle lettere è stata l’esigente lezione di Marc Fumaroli e il suo lascito duraturo.

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