Una semplice citazione divenne il sigillo di verità della loro testimonianza:
nos qui cum eo fuimus, noi che eravamo stati con lui. Essere stati vicino a Francesco, averne condiviso la vita, il carisma, le gioie, le fatiche, le incomprensioni, nel progredire di una idea di rinnovamento della Chiesa, riattualizzando, in un’epoca per nulla facile e scossa da mille timori, la travolgente forza che promana dal Vangelo, per ricondursi il più possibile vicino al Gesù dell’origine, al cuore del suo messaggio. È un simile spirito che aleggia ne
Il sogno di Francesco, in sala da ieri, nuova incursione del cinema nelle vicende del Poverello d’Assisi, questa volta scritta e diretta da due registi francesi, Renaud Fely e Arnaud Louvet, che hanno voluto “essere con lui” nella più spoglia delle autenticità possibili, con un minimo di mediazione artistica, prendendo assai più a modello la lezione didascalica di Roberto Rossellini, piuttosto che le interpretazioni tormentate e radicali di Liliana Cavani o l’elegante spettacolarità di Franco Zeffirelli. Non hanno, per questo, voluto seguire alcuna biografia e nemmeno legarsi ai testi ufficiali del francescanesimo – dunque rischiando qualche lieve inesattezza storica – ma avvicinarsi il più possibile alla figura umana di Francesco, sempre attuale. «Il nostro film – precisano i registi – nasce, infatti, dalla sensazione che il Duecento in cui lui vive e agisce è molto più simile al nostro tempo di quanto sembri: povertà diffusa e conflitti che si moltiplicano in un mondo dominato da una fitta rete di scambi mercantili. Il punto di vista che abbiamo scelto per raccontarlo è quello di Elia da Cortona, un frate che ama e ammira Francesco, ma che al contempo sente il bisogno di trasformare la comunità informale in un Ordine». Sogno e realtà, utopia e storia: dal 1209 agli ultimi giorni terreni del santo, il film approccia con un rigore “francescano” la dialettica tra la visione del fondatore e la necessità di incarnarla in una Regola – il cui cammino fu realmente tribolato – approvata dalla Chiesa, per mantenere una purezza teologica e assicurare una correttezza dottrinale, quando in quell’epoca il pauperismo assumeva anche derive ereticali. Il Francesco di Elio Germano è molto umano: «Non iconografico – precisa Louvet –, raccontato prima che la storiografia ufficiale lo cristallizzi nella santità». Quando attraversa un campo o s’avvicina al popolo che ammirato lo ascolta, è un personaggio entusiasta, deciso sempre ad anteporre il Vangelo alla storia, appunto. Mentre Elia – che questa storia rivelerà personaggio complesso, nel film benissimo interpretato da Jérémie Renier – diventa il complementare punto di mediazione. Suddiviso in capitoli raccordati dalla voce fuori campo di Elia indirizzata a un novizio, il film ricusa gli episodi noti della vulgata francescana e si sofferma su quelli più politici degli ultimi anni e sentimentali – l’approccio con santa Chiara, ruolo affidato a Alba Rohrwacher –, facendo anche della povertà dell’immagine un requisito di riconoscimento e di stile. «Abbiamo soprattutto cercato di rendere conto della vita interna, dialettica, di questo gruppo di uomini intorno a Francesco – precisano gli autori – prediligendo uno sguardo rispettoso, a volte pittorico. Ogni tanto il montaggio o la musica sottolineano un sentimento, cercano una maggiore ampiezza, ma è anche vero che non abbiamo voluto rendere la regia, ossia il “potere” di chi dirige, troppo visibile». Lo è, invece, la natura, quella della Sud della Francia dove il film è stato girato, un paesaggio non necessariamente filologico ma il più coerente possibile in termini emotivi, che ingloba tracce di architettura romanica. Mentre in Umbria è stata trovata una piccola badia del XI secolo, a Pascelupo, tra i colli alle spalle di Gubbio, che anche oggi rispecchia fedelmente le condizioni di essenzialità e povertà in cui Chiara e le sue sorelle avevano scelto di vivere. Nella notte tra il 3 e 4 ottobre del 1226 Francesco si spegne, vegliato dai suoi Frati. Elia, nel film, lo guarda con infinita dolcezza. Poi si gira. E mentre l’uno entra nella schiera dei santi, l’altro s’incammina lungo i sentieri travagliati delle vicende umane.