Ha cominciato nel 1946, ancora bambina, muovendo i primi passi con le scarpette rosa della Scuola di ballo del Teatro alla Scala. Da allora Carla Fracci non ha mai smesso di stare sulle punte. A 81 anni la più grande Giselle di tutti i tempi tornerà sul palco, il 30 settembre a Cremona, per lo Stradivari Festival con uno spettacolo, ideato e diretto dal marito Beppe Meregatti, ispirato al grande liutaio lombardo e costruito su musiche di Luciano Berio, Béla Bartók e Johann Sebastian Bach. L’ennesima sfida con se stessa per deliziare quel pubblico che le dimostra oggi lo stesso affetto di quando incantava le platee di tutto il mondo danzando a fianco di Erik Bruhn, Rudolf Nureyev, Michail Baryshnikov. Una stella che brilla ancora per eleganza e charme. Un simbolo di purezza dell’arte, una risorsa per l’Italia, a cui ha dato tanto. Una donna infaticabile, che ancora oggi non si risparmia. Arriva in ritardo. Ma le prime donne sono così, si fanno aspettare. Scende dal taxi in via Gesù, zona Monte Napoleone, avvolta da un lungo abito bianco in stile Positano e nel varcare con sollecita grazia la soglia del Four Seasons appare come una nuvola evanescente. Ci sono i saldi e la gente affolla le strade del Quadrilatero della moda per gli acquisti prêt-à-porter. Qualche passante si accorge dell’elegante presenza che scivola dentro al portone del “cinque stelle lusso” l’hotel ma non fa in tempo a focalizzare: «È lei? Non è lei?». La bianca regina del balletto indossa un candido cappellino a falda larga e, assediata dai fotografi, scende le scale dell’hotel meglio di Wanda Osiris. A vederla pare una diva d’altri tempi ma è così moderna nelle idee e nei propositi da spezzare ogni cliché. A riprova che la gioventù è un fatto di testa. «Desidero promuovere la danza e portarla a tutti, anche ai giovani, con progetti come questo del Festival Stradivari – dice col solito garbo –, perché il futuro appartiene ai giovani e vorrei fare di più per loro, vorrei che le istituzioni mi dessero la possibilità di lavorare di più con le nuove generazioni».
La danza è “democratica” e non una questione d’élite: è la sua missione, da sempre...
«Sì. È un’arte che va portata ovunque dando ogni volta il meglio del prodotto. Adesso il balletto non è più sconosciuto come una volta, il terreno è favorevole, al pubblico piace. Diffonderlo, inoltre, è anche un modo per dare occupazione. Io ho fatto spettacoli dappertutto, anche nelle piazze e sotto i tendoni, nei posti più impensabili. Comunque la danza non può essere legata soltanto alle celebrità, ci sono talenti nelle scuole che devono essere valorizzati. Purtroppo però è ancora considerata dai politici come la “Cenerentola” delle arti. Oggi è uno sfacelo, con teatri e compagnie che vengono smantellati. Ma è una tradizione forte, come la musica, e non si può eliminare...».
Come si può salvare, allora, il balletto classico?
«Bisogna trasmettere l’idea che è un fatto di stile e non solo tecnico. L’esperienza dei maestri è fondamentale, non va dispersa».
Intanto lei continua a impegnarsi, ballerà anche all’Auditorium Giovanni Arvedi della città del Torrazzo. “Torna a fiorir la rosa”, come dicono i versi della poesia che le dedicò Eugenio Montale...
«Sono veramente contenta di questo spettacolo anche perché Cremona è un po’ la mia terra. Ho vissuto l’infanzia a Volongo e lì mi sono sposata... Al Teatro Ponchielli ho danzato tante volte. Ma adesso tremo al pensiero di stare al centro di un palcoscenico senza le quinte, con il pubblico tutto intorno. Sono felice di lavorare con una giovane violinista, Anna Tifu, un grande talento, e poi sarò aiutata ad affrontare le difficoltà da mio marito Beppe. Sarà uno spettacolo d’azione, davvero una nuova emozione per me».
Lei è sempre stata molto sensibile alle tematiche sociali: cosa ne pensa della tragedia che si ripete ogni giorno nel Mediterraneo con le migliaia di immigrati che arrivano sulle nostre coste in cerca di una nuova speranza di vita?
«I politici facciano al più presto il punto e prendano decisioni. Gli italiani sono ospitali ma a questa gente si deve dare sicurezza e lavoro. Devono avere una stabilità, sentirsi come a casa».