Si dice che quando se ne parlò la prima volta, qualcuno chiuse subito la comunicazione. Fare un convegno mettendo insieme filosofi "continentali" e "analitici" sembrava un’eresia per la scena italiana, compartimentata fra studiosi più orientati alla storia della disciplina e ricercatori di stampo anglosassone. Poi la possibilità di un confronto ravvicinato, con il delinearsi anche di autentiche convergenze, è apparsa invece concreta e addirittura seducente per le due società filosofiche che lo hanno promosso: la vetusta e "continentale" Società filosofica italiana (Sfi) fondata nel 1906 e la più giovane e battagliera Società italiana di filosofia analitica (Sifa). E da domani l’evento si svolgerà a Roma sotto auspici di rinnovata collaborazione.Forse sarà anche un’occasione per mettere a frutto un grande patrimonio che è sicuramente poco valorizzato. «Che l’Italia sia uno dei Paesi più "filosofici" al mondo è forse un fatto cui non si presta attenzione. L’insegnamento della filosofia presente nei nostri licei rappresenta un vero unicum mondiale – sottolinea Stefano Poggi, ordinario di Storia della filosofia all’Università di Firenze e presidente della Sfi –. E anche l’ultima riforma della secondaria continua a dare ampio spazio alla disciplina, pur se ne penalizza la presenza nel liceo scientifico: il che è motivo di notevole perplessità. Per non parlare poi degli atenei: nel nostro Paese, ad esempio, i cultori della materia sono ben più numerosi che in Germania. E questa potrebbe suonare come una sorpresa per tanti».Proprio nella Germania della seconda metà dell’Ottocento nacque il fenomeno della "professionalizzazione" della filosofia e farne la storia divenne un modo per dare riconoscimento e dignità accademica alla disciplina. Quel retaggio pesa ancora in parte sull’Italia. «La Società filosofica italiana di cui sono presidente – continua Poggi – ha oggi quasi 1.200 iscritti, molti dei quali insegnanti delle superiori. Vogliamo fungere un po’ da "cinghia di trasmissione" per un rinnovamento e l’aggiornamento. C’è domanda di filosofia, ma spesso si vede all’opera una banalizzazione delle riflessioni. Il congresso sarà un’occasione importante per un rilancio».«I contributi che la migliore filosofia analitica offre al dibattito contemporaneo – fa eco Mario De Caro, docente di Filosofia morale all’Università Roma Tre – sono la rigorizzazione dell’argomentazione e l’interesse per le nuove questioni che i progressi della scienza pongono alla riflessione filosofica. La congiunzione di queste prerogative con la prospettiva tradizionalmente di maggiore respiro della tradizione storica continentale può dare nuovo spessore alla discussione su temi quali la bioetica, il rapporto tra filosofia e scienza o tra filosofia e religione».Che la filosofia si "venda" ancora bene è testimoniato dal fatto che un "best-seller del pensiero" diffonde in Italia più o meno le stesse copie di un’opera analoga sul mercato americano, che però è cinque volte più grande. Tuttavia, l’impressione è che la nostra accademia pecchi un po’ di "passatismo", con tanta produzione dedicata alla studio di autori scomparsi e anche di figure minori. «È un rischio reale – annota Poggi –, il rigore della ricostruzione filologica è un’attitudine importante, che non deve però sclerotizzare la ricerca o la chiusura in autoreferenzialità tutta italiana. In più d’una università, ad esempio, non ha lo spazio che dovrebbe avere l’insegnamento della logica e della filosofia della scienza. Ma non bisogna generalizzare».Secondo De Caro – che è vicepresidente della Sifa –, «oggi in Italia la filosofia sta vivendo un momento piuttosto vitale. Allo studio antiquario e avulso da ogni interesse teorico di oscuri filosofi del passato si va infatti sostituendo l’idea che la filosofia debba tornare a confrontarsi con le questioni centrali della nostra vita: se esista la libertà, cosa determini la nostra individualità, quale sia la corretta prospettiva morale, cosa possiamo sperare di conoscere. Tutte questioni già discusse da una tradizione millenaria (che non si può non conoscere) e che tuttavia ritornano con attualità e urgenza». «D’altra parte – ricorda Poggi – fare storia è anche ricordare le influenze che hanno orientato lo sviluppo della filosofia italiana. O lo hanno bloccato. Una certa saldatura tra la scuola marxista e i retaggi dell’idealismo crociano congiurò nel secondo dopoguerra a svalutare l’attenzione verso la scienza e i filoni più moderni della ricerca. Ed un modo analogo di interpretare la propria appartenenza al filone "continentale" continua ancor oggi a far da freno a settori non trascurabili della comunità filosofica del nostro Paese».Anche la filosofia analitica, secondo De Caro, si trova oggi a un punto di svolta: «All’interno di questa tradizione, infatti, si affrontano due diverse impostazioni. Da una parte ci sono i fautori di una "tecnicizzazione" della filosofia: coloro che credono che la filosofia debba necessariamente rifarsi alle modalità d’indagine della logica, della matematica o delle scienze. D’altra parte, altri pensatori aprono l’indagine filosofica ai problemi fondamentali dell’esistenza, al dialogo con la filosofia continentale e con la riflessione storica». «Quello che gli "storici" possono ancora oggi vantare – conclude Poggi – è un’attenzione ai grandi temi della filosofia, agli interrogativi sul senso. E la metafisica non deve essere esclusa dal panorama delle posizioni in gioco, perché la dimensione della vita non può essere ridotta alla prospettiva rigidamente riduzionistica della scienza. Al di là dei tecnicismi, dobbiamo saper porre le domande in modo chiaro e rigoroso. Questo è il compito primo della filosofia, anche oggi».