Alberobello, la festa dei SS. Medici Cosma e Damiano, 1993 (Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia)
Le processioni religiose, le sagre di paese con le giostre e le bancarelle, le sfilate dei carri, le sale da ballo e i concerti in piazza. Sono quei momenti che generano appartenenza e plasmano l’identità, in cui l’io diventa noi e una città si fa davvero comunità. Senza differenze, senza barriere. Tutti uguali, tutti uniti da un unico, grande rito collettivo in cui tutti sono protagonisti allo stesso modo. Volti allegri, divertiti, assorti o a volte spaventati, che compongono un ritratto suggestivo e profondo non solo di un Paese, ma dell’uomo nella sua realtà più intima. «Le feste grandi mi piacciono. Sono molto intime. Alle feste piccole non c’è spazio per la privacy », faceva notare con grande sottigliezza Francis Scott Fitzgerald. Perché è proprio in questi momenti che l’uomo si libera pienamente, si apre agli altri e nello stesso tempo vive la dimensione più personale. Le feste popolari rappresentano così da sempre il luogo d’indagine perfetto, un prezioso e variegato microcosmo – dai molteplici aspetti culturali, sociali e tradizionali –, per osservare l’Uomo e raccontare la Storia. È quello che fa il grande fotografo italiano Gianni Berengo Gardin con In festa. Viaggio nella cultura popolare italiana, animando visivamente l’edizione annuale, l’ottava, di “Pistoia - Dialoghi sull’uomo” dedicata al tema “La cultura ci rende umani. Movimenti, diversità e scambi”. Uno sguardo antropologico, quello del fotografo, che scorre in una mostra personale curata da Giulia Cogoli che sarà inaugurata oggi, alle 16,30 nelle Sale Affrescate del Palazzo Comunale di Pistoia (visitabile fino al 2 luglio, e corredata dal volume edito da Contrasto, con il titolo In festa, pagine 120, euro 24,90): sessanta fotografie in bianco e nero realizzate tra il 1957 e il 2009, molte delle quali inedite, dedicate alla cultura popolare italiana, in un affascinante mondo «popolato di bambini, di zingari, di anziane o giovani signore vestite per la festa e di danzatori di ogni età», dove ognuno celebra la propria storia con riti vecchi e nuovi. «Quello di Berengo Gardin è un piccolo e meraviglioso atlante fotografico delle feste popolari in Italia, che racconta di costumi e tradizioni antiche e meticce di tutte le regioni d’Italia, con uno sguardo dal taglio etnografico, ma allo stesso tempo di intenerita curiosità», afferma la Cogoli, direttrice del Festival.
Il fotografo nato a Santa Margherita Ligure ha girato in lungo e largo il nostro Paese, con la voglia e la passione di raccontarlo. Instancabile. «Sono stato attratto dalle diverse manifestazioni della cultura popolare – spiega Berengo Gardin, che domani alle 15, in piazza Duomo, dialogherà sul senso del lavoro del fotografo, con l’editore e curatore Roberto Koch –. Fino dai miei esordi il mio lavoro mi ha portato a viaggiare per tutta l’Italia e sono venuto così in contatto con il ricchissimo patrimonio di tradizioni, riti e costumi che caratterizza il nostro paese. Per me fotografare è stato anche un modo per essere partecipe di questi momenti straordinari, densi di significato. Credo che queste fotografie – continua – abbiano oggi un valore di testimonianza, documentano mondi in alcuni casi ormai scomparsi, in altri contaminati da altre forme di partecipazione che li hanno mutati per sempre». Berengo Gardin, insieme ad altri maestri e interpreti della sua generazione – da Ferdinando Scianna (celebre il suo Feste religiose in Sicilia del 1965 con un testo di Leonardo Sciascia) a Mimmo Jodice o Pepi Merisio – è stato sempre in prima linea nel raccontare «quel che doveva essere cambiato, quel che doveva essere celebrato». Questa mostra e il volume che la accompagna raccolgono proprio parte di quei momenti celebrativi, quelli in cui la macchina di Berengo Gardin ha scrutato «l’Italia in festa».
«Cosa sia veramente la festa è impossibile dirlo – scrive l’antropologo napoletano Marino Niola nell’intervento introduttivo del libro – . Si può solo mostrarlo. Quella compresenza di solennità e di gioco, di tradizione e di irrisione, di religione e di trasgressione, di esaltazione e di introspezione, di ricordanza e di licenza, di corporeità e di spiritualità, che è l’essenza del fenomeno festivo non si lascia afferrare dalle parole, ma in compenso resta imprigionata nell’obiettivo fotografico. Ne sono la prova questi bellissimi scatti di Gianni Berengo Gardin, che non si limitano a fornirci delle splendide immagini di questa o quella ricorrenza. Ma catturano proprio l’essenza universale della Festlichkeit, quell’ombra del passato che sorge e ritorna sempre nel dì di festa, come scrive Leopardi nel più vertiginoso dei suoi Pensieri. È l’ombra della società che risorge. Ci sta davanti come una visione, nostra e non più nostra. E squaderna le sue architetture materiali e immateriali di fronte all’occhio del fotografo ». Che coglie l’io e il noi, nella festa di San Fortunato a Camogli, come nei riti della Settimana Santa a Trapani, nel Carnevale di Venezia, ma anche nella processione della Madonna delle Stelle a Oriolo Romano o nella festa dell’uva di Spoleto. «Il pasto comune, la danza e la musica, che sono ritmo e bioritmo collettivi. E primitivi. Come in un’immagine di flauti di Pan – conclude Niola – che richiama dalle profondità del mito il fondo panico della festa. Quello che accarezza la schiena della comunità e le consente di specchiarsi nel proprio tremore epifanico. In un vis à vis con se stessa fatto di intimità corale, che realizza l’ossimoro del tempo che corre e ricorre. E dell’io che diventa noi, semel in anno ».