giovedì 18 aprile 2013
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​Rallentare almeno, se non fermare, il crepuscolo che avvolge l’Appennino. Raccontarne ancora una volta la civiltà viva, prima che diventi solo leggenda. È il sogno ostinato di Giovanni Lindo Ferretti. Che a questo mondo fatto di «uomini, cavalli e montagne» dedica Saga. Il canto dei canti. «Opera equestre» la definisce. Un disco pubblicato da Sony (14 inediti, in cui ritorna il Ferretti più epico e sciamanico, oltre a Maciste in Paradiso dall’era Cccp) che riassume un progetto teatrale in cui i cavalli sono i protagonisti: «Non però quelli ingentiliti a cui ci ha abituato la tv. Ma i cavalli maremmani e i cavalli d’Appennino. Razze residuali, che hanno perso la loro funzione storica: i primi erano i cavalli da guerra, fin dai tempi degli etruschi: animali fieri, spigolosi, ribelli. I secondi animali da soma, enormi e potenti, bestie di famiglia. Oggi inutili, ma su di essi si è costruita la nostra civiltà. E solo con loro potevo raccontare la storia di questa umanità a latere degli Appennini, perché di essa sono testimoni viventi».E proprio questo è il senso del teatro equestre di Ferretti, che a giugno, dopo un esordio sperimentale l’anno scorso, aprirà i battenti a Reggio Emilia nei chiostri di San Pietro: «Saga è innanzitutto il racconto epico dell’Alpe e dei suoi abitanti dalla preistoria ai nostri giorni» spiega Ferretti, che su quelle montagne ha deciso di tornare anni fa, lasciandosi alle spalle un intero mondo («Non ascolto i miei vecchi brani») e non pochi scontenti, soprattutto per il suo esplicito cattolicesimo: «Questo progetto è il coronamento di una vita. Nasce tutto da una visione antica: una sera di autunno ho visto tre grandi cavalli scuri entrare di potenza nella stalla, un’immagine di una forza unica, pari solo a quella di un concerto rock». Ne è nato un racconto in forma di canzone e quindi trasformato in «un libretto d’opera» affidato da Ferretti a un suo allievo, Lorenzo Esposito Fornasari. In scena due uomini, una donna e 15 cavalli. «Ai tempi dei Csi i cavalli erano una valvola di sfogo, oggi sono la mia vita. A 60 anni sono dove vorrei essere, pastore allevatore sui monti. La mia vita è come quella dei miei avi: stalla e preghiera». E allevare cavalli, canta nel disco «è un gesto eroico, un gesto artistico, è disciplina umanistica».La prima volta lo spettacolo è stato presentato a Cerreto Alpi, paese natale e di residenza di Ferretti. «Abbiamo attraversato senza preavviso. Ci hanno seguito e abbiamo cominciato a raccontare, voce e cavalli, la storia di queste montagne. qualcosa di arcaico e contemporaneo: tradizione viva. La masnada di ragazzi è rimasta bloccata un’ora a bocca aperta, i vecchi piangevano. Abbiamo riprovato a Reggio Emilia, tre serate tutte piene grazie al passaparola». Quest’anno, con il debutto ufficiale a partire dal 20 giugno, le serate diventeranno almeno sette «ma vogliamo proseguire finché ci sarà richiesta. Caleremo dai monti come un branco contemporaneo. Il rischio di impresa è nostro. Il finanziamento al momento arriva dai miei concerti».La presentazione del disco, ieri, è stata l’occasione anche per commentare l’elezione di papa Francesco: «Benedetto XVI è stato il mio maestro: il rappresentante vivente della tradizione. Quando ha annunciato il suo ritiro è stato come se mi crollasse il mondo addosso. Allora ho pregato: ci sono cose che vanno accolte con meditazione e silenzio. Poi ho visto Francesco alla Loggia. Sono rimasto incantato. E quando si è inchinato per ricevere la benedizione da parte del popolo… Uno dei grandi problemi per i cattolici è la divisione con le Chiese ortodosse. Quel gesto è tipico del mondo orientale, un messaggio di pace a chi ci guarda come fratellastri o nemici. Francesco è uno dei doni più belli che ci ha fatto Benedetto».
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