Una sala dell'allestimento della mostra su Federico da Montefeltro a Gubbio - .
Ci sono volute tre sedi espositive (e la Galleria Nazionale delle Marche a Urbino, attraverso ottanta opere che ne documentano i rapporti con Francesco di Giorgio Martini e le arti) per rendere doveroso omaggio a una figura importante, anzi centrale, del Rinascimento italiano come Federico da Montefeltro di cui quest’anno – 1422 - 2022 – ricorrono sei secoli dalla nascita a Gubbio. Per essere precisi, il futuro Duca nacque il 7 di giugno nell’austero Castello di Petroia (oggi struttura alberghiera) fondato nell’XI secolo; ma quanto fosse importante per Federico la sua città, sta scritto, nero su bianco, nel sottotitolo della mostra (fino al 2 ottobre) che cita una frase del Duca: Federico da Montefeltro e Gubbio.
«Lì è tucto il core nostro e tucta l’anima nostra». Distribuita fra il Palazzo Ducale, il Museo Diocesano e il Palazzo dei Consoli eugubini, l’esposizione è curata da figure della levatura di Francesco Paolo Di Teodoro (tra l’altro, fine filologo della celebre Lettera a Leone X scritta a quattro mani da Raffaello e Baldassar Castiglione), Patrizia Castelli (nota agli studi, per le ricerche sulla stregoneria e l’arte, oltre che sul Museo di Gubbio), Lucia Bartolini e Fulvia Cervini. Al di là delle meraviglie artistiche di cui si dirà a breve, il percorso a cui è invitato il visitatore è, in realtà, un viaggio nei sentimenti del Duca che riversò il suo amore sulle strade e sugli edifici della sua città. La dimostrazione è il Palazzo Ducale eugubino che non ha nulla da invidiare a quello urbinate più famoso, ma con la differenza che, qui, assumeva il ruolo del gioiello rinascimentale in un impianto urbanistico medievale. Sede principale della mostra, è esso stesso un’opera da esposizione, dove la perla principale, però, purtroppo non c’è più perché lo studiolo dagli intarsi lignei, realizzati certo su disegni di Francesco di Giorgio Martini, è oggi al Metropolitan di New York che lo acquistò nel 1939; mentre a Gubbio, dal 2009 c’è una bellissima copia della ditta Minelli.
Quel che interessa sottolineare, però, è la volontà del Duca di fare della sua città natale un luogo che avesse la stessa dignità della capitale del suo regno. Un desiderio pienamente sposato dal figlio Guidobaldo che pure era nato a Gubbio. Allora, è intorno a questo sentimento d’amore, condiviso dal padre e dal figlio, che è costruita la mostra. Corredato da un bel catalogo (Silvana Editoriale), il percorso espositivo si diversifica secondo le differenti sedi che, così, propongono prospettive diverse intorno allo stesso tema. Per questo, a Palazzo Ducale, la narrativa per immagini racconta la vita di corte. Del resto, la sede è perfetta, con i camini monumentali scolpiti in pietra serena, gli splendidi cassoni e le porte intarsiati, oltre alle medaglie e alle monete che rappresentano il Duca. Sezione nella sezione, una parte importante del percorso è dedicata alla costruzione architettonica del Palazzo progettato da Francesco di Giorgio Martini.
Il Palazzo dei Consoli, invece, ospita un percorso intorno al 'mestiere' di Capitano di ventura e all’arte della guerra che fu, insieme all’amore per le arti (cui è dedicata un’apposita sezione), la principale attività del principe. Una dicotomia solo apparente che, invece, rientra nello spirito dell’epoca e nelle sue contraddizioni considerate allora consuetudini. Un aspetto che può avere una rappresentazione assai efficace nell’accostamento realizzato in mostra fra l’elmo di velluto e metallo dorato del condottiero e la sua riproduzione a intarsio in una delle porte (originali) dello Studiolo. Completa il percorso una selezione di armi da offesa e difesa, comprese quelle artiglierie di cui il Duca fu grande estimatore fino al punto da inserire la bombarda fra le sue imprese araldiche. Un segno della vivezza intellettuale del personaggio, sempre pronto ad accogliere le novità tecnologiche nell’arte della guerra (l’arma bianca era ancora la regina della dimensione bellica) come nell’arte pittorica di cui seppe apprezzare le novità della pittura ad olio.
Il che lo spinse a servirsi delle abilità di artisti come il fiammingo Justus van Gent (meglio noto come Giusto di Gand) che dipinse, a olio appunto, il celebre Ritratto di Federico da Montefeltro e del figlio Guidobaldo (oggi nella Galleria Nazionale delle Marche ed esposto in mostra) e lo spagnolo Pedro Berruguete – ma di cultura pittorica delle Fiandre – che realizzò, sempre a olio, insieme a Giusto, molti degli Uomini famosi dello studiolo urbinate. A questo si aggiungano opere come la Battaglia di Pidna, attribuita a Verrocchio e il Martirio di San Sebastiano di Luca Signorelli ambientato in una serie di scene che ripropongono la vita militare del XV secolo. L’altra sezione è dedicata alla formazione umanistica del Duca, a inziare dalla proto-pedagogia di Vittorino da Feltre. Infine, il Museo Diocesano ospita opere che documentano gli interessi culturali del Duca e della sua corte, divenuti punti di riferimento per tutta la cultura del Rinascimento italiano, dall’astronomia (e astrologia) alla matematica, passando naturalmente per la musica e lo studio della prospettiva di cui Piero della Francesca e Francesco di Giorgio Martini furono maestri.
Ben 256 le opere che rendono possibile questo percorso, con prestiti eccellenti: dai codici miniati della Biblioteca Apostolica Vaticana, alle tavole di Giovanni Santi (padre di Raffaello) con le Muse leggiadre che danzano e suonano. Del resto, fu proprio Giovanni Santi – pittore, critico d’arte e commediografo – a incarnare l’idea dell’arte che stava nella mente di Federico da Montefeltro. Fu lui, più degli altri colleghi artisti, per la vicinanza al Duca (facevano parte della stessa Confraternita del Sangue di Cristo), ad aiutare il suo Signore a dar corpo a quel Rinascimento marchigiano che sarà il laboratorio artistico e culturale di cui Urbino e Gubbio erano i due fulcri e i due luoghi di applicazione. Infatti, parte della mostra è senz’altro costituita dalla stessa Gubbio la cui Storia (con la 's' maiuscola) s’intrecciò con quella personale dei duchi, ma adesso, sebbene per poco, anche con quella dei visitatori che, vedendo la mostra, percorrono le stesse strade calcate da Federico da Montefeltro e finiscono per vivere i suoi stessi sentimenti.