domenica 22 maggio 2016
​Applaudito "Le client" del regista iraniano: racconta la tragica vendetta di un marito contro l'aggressione della moglie.
FARHADI, questione d'onore a Teheran
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IN GARA UN CORTO E UN SAGGIO  Se il concorso dei lungometraggi di Cannes 2016 non ha visto film italiani, quello dei corti ha invece accolto Il silenzio diretto dagli iraniani Farnoosh Samadi e Ali Asgari (che hanno studiato in Italia) e prodotto da Kino Produzioni: Fatma e sua madre sono rifugiate curde in Italia, durante una loro visita in ospedale la bambina deve tradurre quello che la dottoressa ha da dire alla madre, invece se ne resta in silenzio, incapace di parlare. Non ha la forza di dire la verità alla persona che ama. Non c’è un minuto da perdere, eppure Fatma riesce solo ad abbracciare la donna. La Cinéfondandation invece, la sezione del festival riservata alle scuole di cinema, ha presentato La santa che dorme, saggio di diploma della giovane triestina Laura Samani al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Il film racconta il legame tra due amiche. Giacomina, dodici anni, è stata scelta come custode della statua di Santa Achillea per la processione annuale. Ma l’amica Silene viene trovata in stato di morte apparente, con il corpo rimasto caldo. Il paese grida al miracolo e decide di portare la ragazza in processione al posto della statua. E Giacomina si interroga. A poche ore dall’assegnazione della Palma d’oro del 69° Festival di Cannes arriva in competizione uno dei film più belli e applauditi della selezione, Le client dell’iraniano Asghar Farhadi, Oscar per Una separazione. La storia ruota intorno a una coppia di attori impegnati nella messa in scena teatrale di Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller. I due sono costretti a cambiare improvvisamente casa e nel nuovo appartamento dove si sono appena trasferiti Rana viene aggredita da un intruso che poi, spaventato, fugge prima che accada il peggio, dimenticando le chiavi di un furgone. Chi era e cosa voleva? Comincia così una lenta ma implacabile ricerca dell’uomo colpevole di aver calpestato l’onore di Rana, ma soprattutto di suo marito Emad, il cui unico obiettivo non è quello che denunciare l’aggressore perché la giustizia faccia il suo corso, ma di umiliarlo davanti alla sua stessa famiglia, che si appresta a celebrare un matrimonio. Ancora una volta Farhadi, le cui sceneggiature dovrebbero essere oggetto di studio da parte degli studenti di cinema, costruisce la sua storia attraverso piccoli, progressivi disvelamenti che spostano continuamente il punto di vista sui personaggi facendo cene cogliere nuove sfumature a ogni scena, così che buoni e cattivi, i cui contorni non sono mai così netti, si scambiano continuamente di posto. Ne emerge il racconto di un dramma personale che molto ha in comune con quello del commesso viaggiatore di Miller e che si staglia sull’affresco di un paese dove onore e rispettabilità sono delle vere e proprie ossessioni sociali, al punto da trasformare le vittime in intransigenti e irragionevoli carnefici. «Il protagonista è spinto alla vendetta – di- ce il regista – per timore di perdere la propria reputazione, di essere condannato dal giudizio negativo degli altri». E se uno degli interpreti, Babak Karimi, ricorda che gli stessi tabù esistevano anche in Italia negli anni Cinquanta e Sessanta, l’attrice protagonista, Taraneh Alidoosti, aggiunge: «Si tratta di una storia molto universale, anche un uomo occidentale reagirebbe in maniera altrettanto dura. Pur essendo un intellettuale, Emad vive ciò che è accaduto alla moglie come una minaccia alla propria mascolinità. Rana dunque è una donna doppiamente attaccata». «Dopo Il passato realizzato in Francia – dice ancora Farhadi – stavo preparando un film ambientato in Spagna e prodotto da Pedro Almodóvar. Ma poi ho sentito forte la nostalgia di casa e sono tornato in Iran e alla mia lingua. Per chi fa cinema nel mio paese gli ostacoli sono molti, ma io sono abituato a lottare. E tutte le difficoltà che per alcuni sono insormontabili, si trasformano per me in energia e motivazioni. Perché proprio questo dramma di Miller? La New York in via di sviluppo di Morte di un commesso viaggiatore assomiglia molto alla Teheran di oggi, dove si scontrano modernità e tradizione».  Molti applausi anche per Elle di Paul Verhoeven, dove il tema della violenza sulle donne assume toni decisamente diversi, quasi metaforici, in un film, spesso comico, ma anche molto rischioso, che potrebbe far vincere il premio come migliore attrice a Isabelle Huppert. E se da una parte sulla Croisette parte il consueto gioco dei pronostici, nel tentativo di indovinare i gusti della giuria presieduta da George Miller, regista australiano di film d’azione – esercizio più che mai arduo quest’anno in cui la maggior parte dei film ha diviso, senza tante sfumature, il giudizio dei critici: capolavoro o porcheria – dall’altra si fanno i conti con quello che si è visto nei giorni scorsi in un Festival caratterizzato, a dire il vero, da poche scoperte, qualche conferma e non poche delusioni. Che il 2016 a Cannes sia stato l’anno della Romania lo dimostra il fatto che tra i cinque film più belli del concorso ci siano sia Sieranevada di Cristi Puiu che Bacalaureat di Cristian Mungiu, due ritratti di famiglia sullo sfondo di un Paese ancora sfarinato nonostante la conquistata democrazia, due racconti tesi e potenti che trascinano lo spettatore di un vortice di piccoli, grandi avvenimenti.  Molti sulla Croisette sono pronti a scommettere su un premio alla tedesca Mared Ade che con lo stravagante Toni Erdermann ha conquistato la stampa internazionale e irritato quella italiana, mentre Farhadi, come dicevamo, si conferma un ottimo autore che non dimentica il dialogo con il pubblico. Pezzi da novanta del calibro di Woody Allen, Steven Spielberg, Jodie Foster, Pedro Almodóvar, Park Chan Wook, Brillante Mendoza, Ken Loach, i fratelli Dardenne, Jim Jarmush hanno dimostrato qui sulla Croisette di non avere molto di nuovo da dire nonostante la rilevanza dei temi affrontati (nessuno dei loro film ha superato per qualità artistica quelli precedentemente realizzati), ma di essere ancora degni di un posto al sole nelle rassegne internazionali. I cinefili duri e puri si sono dati battaglia per difendere o stroncare Personal shopper del francese Olivier Assayas e Neon demon del danese Nicolas Winding Refn, che hanno consacrato due giovani neostar, le americane Kristen Stewart ed Elle Fanning, mentre la delusione più cocente è arrivata da Sean Penn e dal suo malriuscito The last face, addirittura insultato dalla stampa internazionale. E come spesso accade ai festival, alcune delle cose migliori sono arrivate dalle sezioni collaterali (che hanno scelto sei film italiani), più imprevedibili e libere di esplorare, ricche di titoli che non avrebbero affatto sfigurato nella sezione più prestigiosa e ambita.
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