martedì 25 giugno 2024
Dopo l’1-1 con i croati che qualifica la Nazionale agli ottavi contro la Svizzera siamo alle solite schermaglie: il popolo dei potenziali 60 milioni di ct si divide tra i pro e contro Spalletti
il ct della Nazionale Luciano Spalletti a colloquio con gli azzurri Bastoni e Pellegrini

il ct della Nazionale Luciano Spalletti a colloquio con gli azzurri Bastoni e Pellegrini - ANSA

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«Un giorno credi di essere giusto. E di essere un grande uomo. In un altro ti svegli e devi cominciare da zero». Prendiamo a prestito i versi del poeta partenopeo Edoardo Bennato, sì proprio quello che (con Gianna Nannini) azzurrava le Notti magiche di Italia ’90. In quelle frasi c’è tutto il senso della vita, di cui il calcio, dopo Italia-Croazia siamo sempre più convinti, sia la metafora più calzante. Fino al minuto 98 della sfida con i croati, il gol dell’1-1- la rete salvapatria di Zaccagni che ci porta agli ottavi di sabato prossimo contro la Svizzera, i ragazzi della Nazionale di Luciano Spalletti erano tutti ingiusti, bocciati, dei reietti da reimbarcare sul primo aereo, classe economy ovviamente, per l’Italia, e addio Europei. Fine delle trasmissioni di “Radio Jorginho” - cito il telecronista Rai Alberto Rimedio - che in tre partite (vittoria con Albania, sconfitta tra gli olè degli spagnoli e pareggino salvifico con i croati) non si è mai sintonizzato più di qualche minuto sulle stesse frequenze di una squadra che, secondo noi, non è un calesse e neanche un bolide, ma forse un buon diesel che lentamente si sta mettendo in moto, questo forse sì.

Lucio da Certaldo contro la ferociadei 60 milioni di ct italiani

Lucio da Certaldo, per la storica firma de “La Nazione”, Enzo Bucchioni è semplicemente Luciano Spalletti: il vincente (titolo del libro -edito da Tea - in cinquina al Premio Bancarella), sono giorni da trincea lì tra i campi minati di Lipsia. Ma Spalletti è abituato alla campagna di Russia: è stato ussaro toscano alla guida dello Zenit di San Pietroburgo, ha visto le notti bianche e passato notti insonni a Roma, Milano e Napoli dove era un condannato a vincere. Ha vinto meno di quello che poteva in carriera, vero, ma lo scudetto di due anni fa a Napoli per il popolo sotto il Vesuvio vale quasi quanto i due vinti da Maradona. Gli imputano di essere al timone di una scialuppa di “mediocri”, ma forse a qualcuno è sfuggito che contro la Croazia in campo c’erano 7 campioni d’Europa del 2021. Quindi, Roberto Mancini tre anni fa a Londra vinse gli Europei con una banda di scappati di casa? Non siamo d'accordo. Certo poi quella stessa Nazionale ha fallito la qualificazione ai Mondiali del Qatar, ma Spalletti non è che deve prendersi colpe e critiche anche per ciò che non ha fatto. Invece i 60 milioni di ct, quegli italici piangenti poltronati che hanno da ridire su tutto, dalla posizione sbagliata di ogni singolo azzurro fino ai troppi tatuaggi di Scamacca, se la prendono sempre con Lucio, il più amato dagli italiani di Germania. E lui, sotto quella pelata lucente incassa e riflette, conta fino a dieci prima di rispondere e poi sublime stringendosi dentro alla giacca da camera che gli ha confezionato re Giorgio Armani si inerpica nella sua “logica dell’illogico”. Calmo, serafico, si prende le botte anche in conferenza stampa, tranne quando gli vengono chiesti lumi sul presunto “patto con i giocatori” per aver rivoluzionato la squadra, e allora su questo si inalbera e spiega: «C’è un ambiente interno e un altro esterno e se nell’ambiente interno c’è chi racconta le cose non vuole bene alla Nazionale. Qual è la qualità della scoperta in questo caso qui? È una cosa normalissima». Insomma, per le prossime puntate, patti chiari e amicizia lunga: la squadra la fa Lucio e chi gioca dovrebbe cominciare a capire cosa deve fare.

Donnarumma da Pallone d’oro,la difesa sale con Calafiori

A prescindere da come finiranno questi Europei, Gigio Donnarumma si è guadagnato il nostro personale Pallone d’oro. Al gigantone che gioca sotto la Torre Eiffel (Paris Saint Germain) possono rimproverargli tutto, dall’avidità scaltra del Dollarumma transfugo dal Milan, alla poca attitudine allo studio (rinunciò agli esami di maturità per farsi la vacanza a Ibiza), però quando è in serata è il n.1 al mondo (Buffon docet). La sua presenza giustifica in parte il teorema della squadra ideale che stilò il Paròn rossonero Nereo Rocco: «Una squadra perfetta deve avere un portiere che para tutto, un assassino in difesa, un genio a centrocampo, un “mona” che segna e sette asini che corrono». Ora fin qui abbiamo visto Gigione, un portiere che para davvero tutto. L’assassino difensivo dovrebbe farlo Bastoni, al quale il ct cambia continuamente posizione, però l’interista fa almeno tre blitz a partita in area di rigore avversaria e dopo quello all’Albania ha rischiato di segnare il suo secondo gol europeo alla Croazia. Un “genio” a centrocampo ce l’abbiamo e si chiama Barella, al quale manca l’imbucata geniale di un Pirlo, così come quella non ce l’ha Jorginho e neppure Pellegrini che porta quel numero “10” sulle spalle che fa tanto Totti di facciata, ma al massimo, quando è ispirato, il romanista fa delle giocate alla De Rossi. Tutte glorie giallorosse che avrebbero potuto annoverare anche l’uomo nuovo della difesa azzurra: Calafiori. Il ragazzo cresciuto a Trigoria, scartato per i troppi infortuni e spedito in esilio a Basilea (lui gli svizzeri li conosce bene) si è rifatto un nome al Bologna con Thiago Motta, uno che gli ha spiegato come vincere un triplete e anche come andare in finale agli Europei: Thiago ci andò nel 2012 (finale persa con la Spagna). Calafiori ha cominciato bene, poi l’autogol maledetto con la Spagna, ma l’assist a Zaccagni lo ha reso un “Beckenbauer all’italiana”, e adesso nel calcio dei paradossi e metafora della vita, da giovane scarpone (vox populi) è tornato re per una notte e principino del mercato. Per strappare Calafiori al Bologna servono almeno 50 milioni di euro (la Juventus passi alla cassa di Joe Saputo).

Aspettando l’asso Chiesa e Scamaccasi cala il jolly Zaccagni

I “sette asini” - con tutto il rispetto per i volenterosi faticatori azzurri - che corrono ci sono, manca ancora il “mona” che fa gol. Tre gol in tre partite e il terzo finalmente a firma di un attaccante anomalo, molto esterno, come il laziale Zaccagni. Porta il “20” che fu di Paolo Rossi castigatore Mundial, nell'82, del Brasile di Zico e poi in finale della Germania. E dato che si va di Amarcord allora diciamo grazie a Zaccagni per aver messo l’Italia a riparo da un Azzurro tenebra che neanche Giovanni Arpino, esattamente 50 anni fa su questi campi tedeschi (allora Mondiali del ‘74) avrebbe avuto la forza di raccontare. Il suo lampo nella notte di Lipsia ci riporta sotto il cielo di Berlino per un film che si spera abbia una regia degna di Wim Wenders. Intanto è stata la mano di Dio veramente e la zampata di Zaccagni a trascinare la Nazionale a questi ottavi, per niente scontati, dove ci attende una Svizzera attrezzata (vedi il pari con la Germania in un match giocato alla strapari contro Musiala e soci) e non una formazione di cioccolatai e questo lo sappiamo per aver sperimentato proprio contro di loro l’eliminazione agli ultimi Mondiali. Perciò per andare avanti ora servono i gol del “mona” davanti, ergo le giocate risolutive di Chiesa che non può accontentarsi dei due-tre scattini a partita ad illudere la platea che da lui si aspetta il colpo da fuoriclasse che langue dentro il suo essere Federico. Servirebbe un colpo, anche di rapina, del gaucho Retegui e qualche invenzione radente dello scugnizzo emiliano Raspadori. E poi magari un segno tangibile, oltre i suoi cento tatoo, del pennellone Scamacca che all’Atalanta sotto la protezione della Dea e del profeta Gasperini ha fatto piccoli miracoli. E quei piccoli miracoli adesso servono alla causa Nazionale del nostro Spalletti francescano che ci ricorda sempre che lui è un uomo di campo e che le sue mani «sono quelle di uno che ama stare nella campagna, potare le piante e dare da mangiare agli animali». Ma forse, sono anche mani buone per riafferrare quella Coppa. Chissà...

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