Rappresentazione artistica dell’esopianeta 51 Pegasi b, il primo che fu individuato dalla Terra - Eso, M. Kornmesser e Nick Risinger (skysurvey.org)/Inaf
Cercare le tracce della vita o le condizioni per le quali essa possa formarsi o essere ospitata lontano da qui, dalla Terra. Lo studio degli esopianeti, mondi che ruotano intorno a stelle diverse dal nostro Sole, sta davvero vivendo un periodo di grande effervescenza.
«La loro scoperta – chiarisce la ricercatrice dell’Istituto nazionale di Astrofisica Giuseppina Micela – è stata una svolta nella nostra comprensione dell’Universo, sia da un punto di vista scientifico che filosofico. Ora possiamo comprendere quanto è “comune” il nostro sistema solare nel cosmo e come si formano i pianeti, oltre a capire quali possono essere le condizioni che favoriscono la nascita della vita extraterrestre. Inoltre la ricerca di esopianeti permette lo sviluppo di tecnologie avanzate come i telescopi spaziali e terrestri e le nuove metodologie di rilevamento e analisi dei dati». Non a caso per l’individuazione di questi esopianeti - aggiunge la direttrice di Inaf Catania Isabella Pagano - «sono state sviluppate diverse tecniche. La più proficua ad oggi è stata quella dei “transiti” che consiste nel misurare le variazioni periodiche di luminosità di una stella dovute all’oscuramento di una porzione della superficie stellare quando un pianeta orbitante attorno all’astro si trova lungo la linea di vista dell’osservatore sulla Terra. Durante il transito, la luminosità della stella diminuisce leggermente. Analizzando quanto e come diminuisce la luce stellare durante il transito, e studiando la periodicità del fenomeno, è possibile derivare diverse caratteristiche del pianeta, ad esempio la sua dimensione e i parametri della sua orbita». Un altro metodo largamente usato per la ricerca degli esopianeti consiste nel misurare le piccolissime oscillazioni di velocità che la stella mostra a causa del suo orbitare attorno al centro di gravità del sistema, ovvero l’effetto Doppler. Poi, in modo indiretto, per l’esopianeta individuato si calcolano i valori relativi alla massa e alla dimensione, comprendendone anche la sua natura, ad esempio se è roccioso o gassoso. Ci sono ancora altri metodi di ricerca: l’effetto di microlente gravitazionale, che permette la scoperta di esopianeti molto lontani da noi, e la ricerca delle “variazioni nei tempi di arrivo dei segnali” che permette di scoprire gli effetti gravitazionali prodotti da corpi di massa planetaria. Con questo metodo già nel 1992 era stato scoperto Psr B1257+12 b, un corpo pari a 2 centesimi della massa della Terra, in orbita attorno a una pulsar, ovvero una stella di neutroni altamente magnetizzata e rapidamente rotante, generata dai residui dell’esplosione di una supernova.
Ma quali sono gli esopianeti più importanti scoperti fino ad oggi? L’elenco è in continuo aggiornamento «ma – dice ancora Micela –, se dovessi elencarne alcuni includerei certamente 51 Peg b, il primo pianeta extrasolare orbitante attorno a una stella simile al sole e che è valso il Nobel ai suoi scopritori. Questo pianeta, oltre ad avere aperto un nuovo campo di ricerca, appartiene alla classe dei “gioviani caldi”, cioè pianeti con dimensioni e massa simili a quelle di Giove ma molto vicino alla stella madre, con temperature vicino ai 1.000 gradi. Le teorie di formazione planetarie non prevedevano la nascita di pianeti in zone così calde, per cui la loro scoperta ha messo in discussione i modelli sui meccanismi di formazione dei sistemi planetari. Un altro pianeta importante, se non altro per la sua vicinanza a noi, è Proxima Centauri b, che orbita intorno alla stella più vicina al sistema solare. Il pianeta si trova nella cosiddetta zona abitabile, con condizioni fisiche compatibili con la presenza di acqua liquida, ingrediente considerato essenziale per la formazione della vita. Infine un sistema anch’esso molto interessante è il sistema attorno a V1298 Tau con 4 pianeti noti, si tratta di una stella giovane che molto simile a come doveva essere il Sole poco dopo la sua formazione. Questo sistema è importante per studiare la storia del nostro sistema».
E l’Italia gioca un ruolo importante nel grande risiko della ricerca. «La comunità astrofisica e planetologica italiana è ben posizionata in ambito internazionale ed ha accesso a risorse osservative e di calcolo rilevanti – dice ancora Pagano –. Partecipiamo alla definizione, costruzione e uso degli strumenti dell’Eso (European Southern Observatory) dove abbiamo già telescopi adatti allo ricerca e caratterizzazione degli esopianeti in attesa della nuova classe di strumenti di Elt, l’European Large Telescope, che con i suoi quasi 40 m di diametro nei prossimi anni allargherà i confini della conoscenza nel settore. Siamo coinvolti nelle missioni Cheops, Plato e Ariel dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa). Abbiamo poi la possibilità di usare molto del tempo osservativo disponibile con Harps-N al Telescopio Nazionale Galileo (Tng), uno spettrografo ad altissima risoluzione spettrale con il quale misuriamo le masse planetarie e le proprietà atmosferiche dei pianeti più grandi e vicini alla propria stella. Infine sono stati progettati e realizzati con leadership italiana Shark-Nir e Shark-Vis, due camere per immagini, una infrarossa e una per luce visibile, da poco operative al Large Binocular Telescopio in Arizona; con esse potremo fotografare pianeti massivi e lontani dalla propria stella, prevalentemente in sistemi di recente formazione e studiare le regioni di formazione planetaria».
Quali informazioni ci danno gli esopianeti a riguardo della vita extraterrestre? Risponde Micela: «Ancora siamo lontani dall’avere trovato la vita sui pianeti extrasolari ma stiamo facendo dei passi importantissimi in questa direzione, identificando quali pianeti hanno le condizioni adatte allo sviluppo della vita». Per esempio, prima di tutto è importante identificare i pianeti che si trovano nella cosiddetta “zona abitabile” di una stella. Si tratta della regione in cui le condizioni chimico-fisiche atmosferiche potrebbero consentire la presenza di acqua liquida sulla superficie, un requisito essenziale per la vita che conosciamo. Infine, gli esopianeti potrebbero avere anche delle esolune, le quali conclude Pagano, «sono difficili da rilevare » ma che potrebbero dare ulteriori indizi sui meccanismi di formazione planetaria. Rappresentazione artistica dell’esopianeta 51 Pegasi b, il primo che fu individuato dalla Terra / Eso M. Kornmesser e Nick Risinger (skysurvey.org) Inaf