Constance Lloyd ritratta da Louis Desanges nel 1882 - WikiCommons
Strana sorte quella delle mogli degli scrittori. In alcuni casi sono state immortalate nelle pagine dei loro mariti. Si pensi a Montale, e a una delle sue poesie più celebri, Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale. La lirica fu composta nel 1967 per la moglie Drusilla Tanzi, scomparsa quattro anni prima. Al senso di vuoto causato dalla perdita della compagna corrisponde l’antica convinzione che la realtà non sia «quella che si vede». In questa realtà “la Mosca”, così chiamata per i suoi spessi occhiali, si orientava, pur essendo miope, meglio del poeta. Drusilla aveva rappresentato per Montale il porto sicuro, la guida interiore, la persona con cui condividere il calore quotidiano di una casa. Ma se risaliamo indietro nel tempo fino ad arrivare a Dante, non possiamo non constatare a quale ruolo a dir poco subalterno, se non vogliamo dire inesistente, il padre della nostra letteratura abbia condannato la legittima sposa, Gemma Donati. Il loro matrimonio è privo di qualsiasi riflesso nell’opera dantesca, essendo il poeta tutto preso dal proprio amore per Beatrice. Che tipo di donna era Gemma? Com’era il suo rapporto con il marito? Accettava o mal sopportava la presenza di una rivale come Beatrice? Domande destinate a rimanere senza risposta, perché a Gemma Dante non ha dedicato neanche una riga. Potremmo aprire un altro capitolo sui mariti delle scrittrici: come, per esempio, il consorte di Grazia Deledda, ferocemente satireggiato da Pirandello nel romanzo Suo marito. Ma per questa volta ci limiteremo alle mogli degli scrittori. Concentrandoci in particolare su una di cui molto poco si è parlato: la consorte di Oscar Wilde. A far luce su questa figura a lungo trascurata dai biografi è ora Laura Guglielmi nel suo bel libro Lady Constance Lloyd. L’importanza di chiamarsi Wilde (Morellini, pagine 252, euro 17,90). Wilde sposa Constance Lloyd nel 1884 e avrà da lei due figli. Tuttavia a partire dal 1893 la condotta dello scrittore comincia ad alienargli i favori della buona società. Egli intrattiene infatti una relazione con un giovane, lord Alfred Douglas. Nel 1895 il padre di quest’ultimo, il marchese di Queensberry, accusa Wilde di plagio ai danni del figlio. Lo scrittore intenta una causa per diffamazione contro il marchese, ma la perde. Viene così condannato per omosessualità, che nell’Inghilterra vittoriana era un reato, a due anni di lavori forzati. Nel frattempo la moglie, dopo aver per un certo tempo sopportato a malincuore questo umiliante ménage à trois, ottiene il divorzio e la custodia dei due bambini. Il libro di Laura Guglielmi si focalizza in particolare su Constance, anche se il testo vede l’alternanza della sua voce con quella di Oscar. L’autrice ha scelto la strada del romanzo biografico, che rende la narrazione molto più coinvolgente rispetto a quella di una biografia classicamente intesa. Constance viene descritta come una donna che ha avuto un’infanzia non facile (soprattutto per l’anaffettività della madre), eppure fiera («non ero una donna semplice e, dietro un modo dolce e pacato, nascondevo una ferrea volontà che si poteva tramutare in ostinazione feroce»), autonoma, paladina dei diritti femminili in una società maschilista, amante dell’arte e vicina al circolo dei preraffaelliti. Il matrimonio con Oscar Wilde è un’unione combinata dalle rispettive famiglie, come del resto avveniva spesso nella società nobiliare del tempo, ma il loro amore è inizialmente appassionato e sincero. Lei vede lo scrittore come l’uomo adatto, per il suo essere anticonvenzionale, a far emergere la parità tra uomini e donne. E gli è accanto anche nel lavoro letterario: al punto da scrivere – questa l’ipotesi avanzata dalla Guglielmi – alcune favole, come Il gigante egoista, pur firmate dal marito. «L’ho sentita spesso vicina e sorella e ho fatto davvero fatica a lasciarla andare», confida l’autrice alla fine del libro riferendosi alla sua protagonista. Sensazione condivisa dal lettore.