venerdì 2 agosto 2024
Le ragazze del doppio approdano alla finale per l’oro mentre nel singolare il carrarese si arrende a Djokovic dopo aver battagliato a lungo alla pari
Sara Errani e Jasmine Paolini

Sara Errani e Jasmine Paolini - Reuters/Angelika Warmuth

COMMENTA E CONDIVIDI

Sorride l’Italia del tennis che comunque vada si ritrova la coppia Errani-Paolini già con una medaglia sicura al collo. E sorride perché ieri sera, ha sperimentato che un suo ragazzo di 22 anni può vincere anche perdendo. Piacendo e piacendosi. Contro uno più forte, ma che ha messo spesso fuori dalle righe. Giocando come meglio non si può. L’Olimpiade si spella le mani per Lorenzo Musetti ma rimette Novak Djokovic in cima, al posto che gli compete. Finisce con il serbo in finale per l’oro (domani contro Alcaraz), e l’azzurro oggi in quella per il bronzo. E con una scritta scolpita da sempre in cima al Roland Garros che fa da titolo a tutto: “La vittoria appartiene ai più tenaci”.

Non fa sconti Parigi in nome dei cinque cerchi. Apprezza, si diverte e ringrazia il tennis più lussuoso e vario che si possa vedere. Anche qui, soprattutto qui, e a sorpresa. Perché ai Giochi le racchette e le palline dei super professionisti di solito assomigliamo tanto a quelle di scorta, una parentesi che gente abituata ad altro non sente come indispensabile. Anche perché non fa guadagnare neanche uno straccio di punto per la propria classifica. Una sorta di volontariato con vuoto a perdere, incastrato tra mille altri impegni. Che soddisfazione invece. Che bello vedere giocare Musetti così, sciolto e con uno stile apparentemente leggero e giocoso, portatore sano di una sbracciata di rovescio classico a una sola mano in via di estinzione, vestito elegante con la sua bella magliettina azzurra che sembra stirata di nuovo a ogni cambio campo. Djokovic invece è quello che è sempre stato, un muro senza sbavature di vernice sopra: metodico ma mai noioso, spesso sontuoso. Parte implacabile, non perde mai il servizio, si fa inseguire. E sul 5-4 piazza il break che vale il primo set. Scientifico, crudele. Lui e Lorenzo sono due che picchiano forte, ma che in uno sport di bombaroli, la pallina la sanno anche accarezzare, sfiorare, sedurre. E’ questo il tennis più bello, quello che non ti aspetti dove rimbalza e va a finire, e cosa succede dopo. E’ l’imprevedibile dell’arte, l’estetica applicata che scatena l’applauso, e accende il falò del tifo non per l’uno o per l’altro, ma tutto e solo per i colpi migliori.

E’ questo lo sport che piace, solo cromosomi di talento, senza polemiche, senza testosterone da pesare. La gente dell’Olimpiade se li incarta questi due, e se li porta a casa e negli occhi. Come Musetti si mette comunque in tasca questo torneo baciato da vittorie importanti con tennisti che lo precedono in classifica Atp, come Fritz, ma soprattutto Zverer, numero 4 al mondo e campione olimpico in carica. C’è parecchio per consolarsi, pensando alla diserzione più o meno giustificata anche se con tanto di certificato medico di Sinner, che pensavamo ci avrebbe tolto tutto o quasi. Musetti invece aveva finito di giocare una finale a Umago in Croazia alle 23.30 di domenica e si era precipitato a Parigi per poter essere presente e puntuale al primo incontro delle 15 di lunedì, regolarmente vinto con il francese di turno. Poi, altri tre successi prima di Djokovic, e ora la possibilità di fare pari con il bronzo storico di Umberto Luigi de Morpurgo, datato proprio Parigi 1924, tuttora il miglior risultato azzurro di sempre. Ci teneva Lorenzo, e l’ha dimostrato. Lui. Che non sia più un bimbo, per il tennis questa è ormai una notizia ufficiale. La beata adolescenza carrarese, fra il mare e le rocce di un angolo di terra baciato dalle divinità, è finita. L’antro della nonna, quello scantinato che il padre, Francesco, liberò per disegnare una rete sul muro e permettergli di infuriare per ore su di esso, con una racchettina e una palla, resterà un luogo di ricordi. C’è sostanza oggi, realtà, colpi adulti. Poco importa se il serbo non gli ha dato scampo, prendendo il largo nel secondo set: finisce 6-2 per Djokovic che a 37 anni suonati insegue ora l’unico trofeo che manca alla sua strepitosa e infinita carriera.

Prima di loro le donne azzurre. Nè fate, nè pugni sulla terra rossa. Solo una coppia di fatto per il tennis: sembrano unite dalla nascita e dalla diversità. La classe di Jasmine e i geniali tocchi a rete di Sara, il servizio potente della toscana e i pallonetti della romagnola. Jasmine che resta a fondo campo per proteggere la battuta della compagna mentre Sara approccia la rete, togliendo tempo e continuità alle avversarie. Le ceche Muchova e Noskova, ragazzone ipervitaminizzate di un metro e ottanta di altezza che sparano diritti e rovesci che paiono siluri, si arrendono presto. Finisce 6-3, 6-2. Senza storia.

Errani e Paolini hanno già al collo la medaglia olimpica del doppio. C'è solo da decidere se sarà oro o argento. Saranno le russe Mirra Andreeva e Diana Shnaider a sfidarle domani in finale. Ma quel che conta è che le due anime azzurre hanno conquistato il cuore del grande pubblico che il doppio femminile nemmeno sapeva quasi cosa fosse. Le lacrime della Errani, 37 anni, una vita con le racchette da portarsi in giro per il mondo, sono la quadratura del cerchio. Le mancava solo un timbro olimpico sul passaporto. Per la Paolini è una tappa invece, una tacca in più da aggiungere alla sua incredibile crescita. In un anno strepitoso che per fortuna non finisce più.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: