L’ultimo capitolo della celebre libreria antiquaria di Umberto Saba sta scritto proprio qui, tra gli scaffali. Non ci sono parole, solo segni. I segni del tempo che, lasciato fare, sa essere impietoso. Il parquet ormai fatica a resistere sotto il peso di centinaia di volumi accumulati da decenni. Così ammassati accanto agli scatoloni appaiono come anonimi soprammobili. Dove arriva la luce si distinguono foto sbiadite, giornali ingialliti, vecchi timbri. La polvere si fonde con l’odore della carta. Fino a non molto tempo fa la bottega, il regno della creatività del poeta, conservava il manoscritto del Canzoniere. Ora pare un magazzino dimenticato, con le ragnatele che pendono dal soffitto che si sfalda. Ma la gente continua a visitare l’antro oscuro di Saba. Con le loro macchine fotografiche due turisti provano ad avventurarsi. Entrano in punta di piedi, aprendo la porta adagio. Per un momento s’infila veloce anche il chiasso dei bar e le voci di chi passeggia fuori. Poi il silenzio. I nuovi avventori sono assaliti da migliaia di occhi che li seguono dalle scansie, passo dopo passo. «Ma veramente Saba scriveva qui?» – si chiedono gli ospiti guardandosi attorno. Mario Cerne sbuca all’improvviso da una pila di libri: «Proprio qua dietro, guardate, questa era la sua Olivetti». Qualche parola, qualche curiosità e i clienti se ne vanno soddisfatti. Ogni giorno, ogni ora, il solito copione. Vengono, domandano e se ne vanno, senza comprare nulla. Così non si tira avanti. «Dovrei mandarli via? Far pagare il biglietto come in un museo?». Mario, il librario, è figlio di quel Carletto che con Saba ha fatto la storia della bottega. Ora è sulla soglia dei settanta. È dall’81, dalla morte del padre, che custodisce l’unica viva testimonianza del poeta triestino. Ha mantenuto l’anima, a modo suo ne ha tramandato la memoria. Adesso si arrende. L’età e lo sconforto «per una città disinteressata, mai un aiuto dalle istituzioni». «Vale la pena continuare? – si chiede –. Non ho più la forza, ho perso l’entusiasmo». Di tanto in tanto si leggono segnalazioni sul quotidiano locale di chi vorrebbe che il negozio non fosse abbandonato a se stesso. L’assessore comunale alla cultura, Massimo Greco, non ci sta e sbotta: «due anni fa, in occasione dei cinquant’anni dalla morte di Saba, avevamo proposto di aiutarlo, ma lui non aveva voluto. Questa comunque resta un’attività commerciale e non possiamo fare niente. Il locale è in condizioni pietose, tutto ha una fine e Cerne non vede l’ora di vendere e incassare». La fine, dunque. «Allora dopo di me ci mettano pure un McDonald’s» – provoca Cerne. Con l’amaro in bocca Mario ricorda quando, ragazzino, vedeva Saba «seduto in un angolo, se l’umore non era di quelli giusti cacciava i clienti, era scorbutico, nevrotico». Il poeta acquista il negozio nel ’19: «passando una mattina per via San Nicolò vidi per la prima volta quell’antro» – confida: «Pensai: se il mio destino fosse di passare là dentro la mia vita, quale tristezza». Nel ’33 entra in società Alberto Stock, nipote di Lionello, fondatore della nota ditta di liquori. È il ’38 quando Saba finge di vendere la libreria per eludere le leggi razziali che vietavano agli ebrei di possedere attività commerciali. Saba viaggia alla ricerca dei pezzi più pregiati e la fama del negozio cresce. Da lì passano Stuparich e Svevo, la lista di illustri habituès è ricca. Qualcuno ricorda anche una visita di Mussolini, prima di salire al potere. Magris ci porta ancora gli amici. Per anni la bottega è per Saba «il rifugio al mio pensiero e agli orrori del tempo». Le commesse stesse sono ispirazione per i suoi versi. L’antro sofferto è storia nella storia che Cerne racconta sfiorando tomi del ’400, un quadro di Carlo Levi e i cataloghi originali della libreria. Mario ha vissuto nell’ombra del nome di uno dei più grandi letterati del Novecento italiano. Adesso è al capolinea. «Se voglio chiudere?» Non risponde. Si stringe nelle spalle e nasconde il volto. Inutile insistere, la conversazione scorre su binari morti mentre, ormai sera, abbassa le serrande. La libreria antiquaria di Saba a Trieste in una foto d’epoca. Sopra, il grande poeta