Airò: «Ma il fermo richiamo alla sobrietà è sempre attuale»Antonio AiròNell’attività politica c’è una netta distinzione tra le scelte riguardanti l’obiettivo del bene comune nel governo della società, e i comportamenti personali dei leader. Ma questo non significa che i due piani siano indifferenti. Infatti, se non si vuole cadere in un machiavellismo deteriore, occorre una coerenza di fondo tra i fini da raggiungere e i mezzi impiegati per realizzarli. E di questo rapporto è parte importante anche lo stile di vita dei protagonisti della politica. Lo stile – e non sembri inutile ripeterlo anche in una fase di grande personalizzazione come l’attuale – deve essere ispirato a sobrietà e caratterizzato da quella virtù cardinale che è la temperanza. Anche se questa parola è quasi scomparsa dal linguaggio attuale. Di fronte a recenti vicende che hanno infuocato il dibattito nei mass media, dobbiamo registrare una sorta di commistione tra il giudizio, positivo o negativo, sugli impegni programmatici realizzati o in itinere – sui quali sono gli elettori che debbono pronunciarsi nelle più diverse occasioni, elettorali in primo luogo – e le valutazioni su come le persone si sono mosse. C’è il rischio, infatti – si parli di "complotto"’ o di "scosse in arrivo" come si è fatto nei giorni scorsi – di fare entrare nel dibattito politico questioni che attengono i comportamenti dei protagonisti in una sorta di giudizio finale, spesso più moralistico che etico, nel quale a pronunciarsi sul bene o sul male di questi comportamenti dovrebbero essere non solo singoli esponenti, ma anche la Chiesa nella sua espressione più gerarchica. E questa dovrebbe assolvere o condannare quasi a priori. Dire che non è compito della Chiesa svolgere questo ruolo è ovvio e riduttivo insieme. Da un lato si vorrebbe far entrare la Chiesa, con modalità improprie, in un campo che non è il suo. Dall’altro si vorrebbe la Chiesa indifferente di fronte a comportamenti che possono inquietare la comunità cristiana e anche la società civile e possono indurla a chiedersi se non siano stati superati, magari in buona fede, certi limiti. È evidente che la comunità cristiana può e deve interrogarsi al di là di ogni aspetto giuridico. Il buon governo o il cattivo governo possono essere influenzati da percorsi che si svolgono su binari differenti da quelli della politica. Detto questo, forse vale la pena di rilevare come ogni rappresentante della classe dirigente del Paese – ma il discorso vale per ogni cristiano – non dovrebbe mai dimenticare, come recitiamo ogni domenica nella Messa, che si può peccare «in parole, pensieri, opere, omissioni». E questo può avvenire anche quando non si sono commessi reati penali, non si è incappati in disavventure burocratiche o caduti in qualche distrazione di troppo. C’è sempre una responsabilità personale che nessun giudizio della Chiesa può cancellare o enfatizzare. Men che meno propinando condanne. La laicità della politica e la distinzione dei piani escludono qualsiasi intervento in materia. Sta invece alla coscienza dei politici, senza scomodare i sondaggi per assolversi o pronunciare condanne, valutare come rispondere alle inquietudini dei cittadini. E decidere di conseguenza. Forse è questo serio esame di coscienza che è mancato finora, da parte di tutti e a cominciare da chi ha più responsabilità. Si è preferito invece "gettarla" in politica, nei suoi aspetti più deteriori.
Airò: «Ma il fermo richiamo alla sobrietà è sempre attuale»Antonio AiròNell’attività politica c’è una netta distinzione tra le scelte riguardanti l’obiettivo del bene comune nel governo della società, e i comportamenti personali dei leader. Ma questo non significa che i due piani siano indifferenti. Infatti, se non si vuole cadere in un machiavellismo deteriore, occorre una coerenza di fondo tra i fini da raggiungere e i mezzi impiegati per realizzarli. E di questo rapporto è parte importante anche lo stile di vita dei protagonisti della politica. Lo stile – e non sembri inutile ripeterlo anche in una fase di grande personalizzazione come l’attuale – deve essere ispirato a sobrietà e caratterizzato da quella virtù cardinale che è la temperanza. Anche se questa parola è quasi scomparsa dal linguaggio attuale. Di fronte a recenti vicende che hanno infuocato il dibattito nei mass media, dobbiamo registrare una sorta di commistione tra il giudizio, positivo o negativo, sugli impegni programmatici realizzati o in itinere – sui quali sono gli elettori che debbono pronunciarsi nelle più diverse occasioni, elettorali in primo luogo – e le valutazioni su come le persone si sono mosse. C’è il rischio, infatti – si parli di "complotto"’ o di "scosse in arrivo" come si è fatto nei giorni scorsi – di fare entrare nel dibattito politico questioni che attengono i comportamenti dei protagonisti in una sorta di giudizio finale, spesso più moralistico che etico, nel quale a pronunciarsi sul bene o sul male di questi comportamenti dovrebbero essere non solo singoli esponenti, ma anche la Chiesa nella sua espressione più gerarchica. E questa dovrebbe assolvere o condannare quasi a priori. Dire che non è compito della Chiesa svolgere questo ruolo è ovvio e riduttivo insieme. Da un lato si vorrebbe far entrare la Chiesa, con modalità improprie, in un campo che non è il suo. Dall’altro si vorrebbe la Chiesa indifferente di fronte a comportamenti che possono inquietare la comunità cristiana e anche la società civile e possono indurla a chiedersi se non siano stati superati, magari in buona fede, certi limiti. È evidente che la comunità cristiana può e deve interrogarsi al di là di ogni aspetto giuridico. Il buon governo o il cattivo governo possono essere influenzati da percorsi che si svolgono su binari differenti da quelli della politica. Detto questo, forse vale la pena di rilevare come ogni rappresentante della classe dirigente del Paese – ma il discorso vale per ogni cristiano – non dovrebbe mai dimenticare, come recitiamo ogni domenica nella Messa, che si può peccare «in parole, pensieri, opere, omissioni». E questo può avvenire anche quando non si sono commessi reati penali, non si è incappati in disavventure burocratiche o caduti in qualche distrazione di troppo. C’è sempre una responsabilità personale che nessun giudizio della Chiesa può cancellare o enfatizzare. Men che meno propinando condanne. La laicità della politica e la distinzione dei piani escludono qualsiasi intervento in materia. Sta invece alla coscienza dei politici, senza scomodare i sondaggi per assolversi o pronunciare condanne, valutare come rispondere alle inquietudini dei cittadini. E decidere di conseguenza. Forse è questo serio esame di coscienza che è mancato finora, da parte di tutti e a cominciare da chi ha più responsabilità. Si è preferito invece "gettarla" in politica, nei suoi aspetti più deteriori.
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