Ma può una «spia» diventare santa? Beh, se è andato volontario con gli alpini in Russia ed è sopravvissuto alla ritirata; se ha dedicato tutta la sua vita ai «mutilatini» e agli handicappati gravi; se in morte ha donato persino gli occhi a due ciechi; insomma, se si tratta di don Carlo Gnocchi: perché no? Del sacerdote milanese che sarà beatificato il prossimo ottobre si sanno molte cose, ma la nuova biografia popolare (benché storicamente ineccepibile, come dimostrano le 50 pagine tra note e bibliografia) che Edoardo Bressan congeda per gli Oscar Mondadori (pp. 198, euro 10) ne ricorda una che stimola la curiosità e merita un approfondimento: ovvero il periodo travagliato tra 1943 e 1945 in cui l’ex cappellano del Gonzaga di Milano, rimessosi in salute dopo l’impresa di Russia e alla ricerca di una via per il futuro, finisce in Svizzera un po’ per assistere lassù i rifugiati antifascisti italiani e soprattutto per sfuggire alle minacce della polizia repubblichina (don Gnocchi collaborava infatti con una rete cattolica per assistere e far espatriare i ricercati e gli ebrei). Dunque, seguendo anche il consiglio dell’arcivescovo Schuster, don Carlo il 10 luglio 1944 espatria clandestinamente attraverso la Val Cavargna con un lasciapassare della Croce Rossa. Il vescovo di Lugano monsignor Angelo Jelmini lo vorrebbe destinare ai campi di raccolta dei giovani italiani, ma due denunce anonime che descrivono il prete come filo-fascista bloccano la via. Don Gnocchi si ferma dunque in una località vicina al confine, sul Lago Maggiore, e di lì si impegna nei settori a lui più congeniali: la pubblicistica, con articoli su organi di stampa ticinesi, e la collaborazione con la Resistenza clandestina. In questa attività rientrano i contatti con gli emissari alleati e le probabili missioni svolte per conto dell’Oss (Office of Strategic Services), in pratica l’«antenato » della Cia in tempo di guerra. Bressan ricorda questi episodi in una frase: «Si sviluppa la sua 'attività di collegamento' fra i partigiani e gli Alleati, ulteriormente confermata da una sua nuova missione a Campione dal 3 al 7 ottobre con il suo attendente Gino Schieppati, in occasione della quale incontrò il viceconsole americano a Lugano, Donald Jones, uno degli uomini più importanti per la raccolta di informazioni da parte degli Alleati, in stretto contatto con Allen Dulles a Berna». Dulles – già avvocato di Lucky Luciano, massone, commerciante d’armi, banchiere finanziatore di Hitler, poi responsabile della Cia – era anche «il padre delle spie», ovvero il direttore dell’Oss in Europa, appunto da Berna; che c’entrava con lui il futuro apostolo dei mutilatini? La cosa può spiegarsi col sorgere, in una zona contigua a quella dove stava don Gnocchi, della repubblica partigiana dell’Ossola, «liberata» il 9 settembre 1944: grazie alla sua familiarità con molti giovani fuoriusciti, don Carlo dovette essere contattato da ambienti resistenziali e alleati per trovare volontari da inviare in rinforzo o in missione. Anzi – come ha documentato la ricercatrice Renata Broggini in studi pubblicati dall’editore Dadò di Locarno – il 23 settembre lui stesso passa nell’Ossola insieme al giornalista Ugo Arcuno, forse nell’impulso di non lasciare soli i «suoi» giovani nel momento del pericolo, ma probabilmente anche con qualche incarico di collegamento. Ritorna infatti pochi giorni dopo in Svizzera e il 2 ottobre un elenco della polizia confederale lo segnala tra gli «informatori » con il nome in codice di «Chino » e alle dipendenze del caporale Gustavo Foletti «Gufo». La notte tra il 3 e il 4 sotto il nome di don Galbiati il sacerdote raggiunge a Campione dove, nella casa dell’espo- nente della Resistenza e futuro sindaco Felice De Baggis, consegna al console Jones «un grosso plico di informazioni militari e politiche» e si accorda per inviarne periodicamente altre attraverso il suo attendente; lo conferma anche il parroco, che sul suo Chronicon annota il 7 ottobre: «Ospite in casa parrocchiale, riparte per oltre il confine il Rev. Don Carlo Gnocchi con il Sig. Schieppati, scesi (clandestinamente) a Campione in missione speciale ». Che cosa avesse di importante da comunicare agli Alleati è don Carlo stesso a rivelarlo in un rapporto post-bellico all’Oss: doveva informarli dell’esistenza nel Nord Italia di un’organizzazione clandestina dei Carabinieri, che faceva capo al duca Marcello Visconti di Modrone e chiedeva di essere riconosciuta ufficialmente e quindi aiutata con armi e fondi. «Per mezzo delle conoscenze conservate dai Carabinieri nell’ambiente fascista» – scrive don Gnocchi – tale gruppo avrebbe avuto «lo scopo immediato di fornire agli Alleati materiale di informazioni militari e politiche e quello futuro di costituire una forza di ordine al momento dell’avanzata delle truppe alleate nella Valle Padana». Proprio a casa Visconti di Modrone a Macherio (Mb) don Carlo sarà arrestato dai nazifascisti il 17 ottobre, probabilmente in seguito a una fuga di notizie sulla sua attività clandestina e con l’accusa di «intelligenza col nemico e alto spionaggio». Resta a San Vittore fino al 4 novembre (uscirà per diretto intervento del cardinale Schuster) e manca così un altro importante appuntamento in Svizzera: in quanto «pratico dei sentieri» perché «faceva spesso la spola tra Italia e Svizzera essendo a contatto con elementi partigiani d’Italia», da Lugano infatti avrebbe dovuto accompagnare a Milano Bruno Kiniger, incaricato dagli Alleati di mediare la liberazione degli ebrei internati nel campo di Fossoli (Mo). «Chino» rimase comunque nelle liste elvetiche degli «agenti ed ex agenti che potrebbero presentarsi al confine per rientrare in Svizzera» almeno fino al gennaio 1945, anche se «attualmente fuori quadro». Così si meritò l’apprezzamento del consolato americano di Lugano, che poco dopo la fine della guerra gli rilasciò un attestato come «persona che ci ha reso importanti servizi durante l’occupazione tedesca di Milano». Ma l’attività di intelligence procurò al sacerdote pure una diceria infamante che si è perpetuata fino al processo di beatificazione: cioè che proprio lui avesse passato agli Alleati l’ubicazione dei depositi di carburante di Erba (dove don Gnocchi era di casa) poi bombardati il 30 settembre e il 1° ottobre 1944 con un bilancio di oltre 70 morti. Ora finalmente Bressan è in grado di assicurare che il futuro beato non c’entra, in quanto – secondo documenti dell’aviazione Usa da poco disponibili – le prime ricognizioni su Erba avvennero il 22 agosto «ed entro quella data don Gnocchi non uscì certo dalla Confederazione». «Spia» sì, spietato no.