martedì 21 ottobre 2014
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"Perché Eduardo è Eduardo?". È il titolo del docufilm di Michele Sciancalepore con cui Tv2000 rende omaggio a Eduardo De Filippo e che andrà in onda venerdì 31 ottobre alle 22.40, a trent’anni esatti dalla scomparsa del grande artista a cui la stessa emittente da luglio dedica un appuntamento settimanale con le sue più celebri commedie. Luca De Filippo, come uomo di teatro e figlio d’arte, in un’esclusiva offre la sua testimonianza ricca di svelamenti, ricordi personali e aneddoti originali sul grande Eduardo. Oltre al figlio Luca, Lina Sastri, Luigi De Filippo, Marisa Laurito, Marzio Honorato e Gino Rivieccio spiegano l’universalità del teatro di Eduardo, i rapporti vitali di Eduardo con il teatro e gli attori e quelli conflittuali con la sua Napoli e il fratello Peppino.
«Si ricorda quando papa Francesco ha detto che “siamo entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti”? ». Il riferimento è alla frase pronunciata dal pontefice il 18 agosto scorso, nel volo di ritorno dal viaggio in Corea. «Bene! Mi ha fatto immediatamente venire in mente una commedia di Eduardo, intitolata La paura numero uno e racconta di un signore, terrorizzato dall’idea che possa scoppiare la Terza guerra mondiale, che dice alla figlia di non sposarsi, di non fare figli: tanto è inutile, perché non è più possibile vivere una vita normale. I familiari allora gli fanno credere che la Terza guerra mondiale sia scoppiata per davvero ma è diversa dalle precedenti. Ci sono numerosi conflitti in diverse parti del mondo ma la loro vita può andare avanti normalmente come se nulla fosse… Pensi, questa è una commedia che Eduardo scrisse nel 1950». Ha intenzione di portarla in scena? «Credo proprio di sì». Così si è chiusa l’intervista, con un inevitabile riferimento al genio profetico del padre Eduardo. Ma all’insegna del ricordo della figura paterna si era pure aperto l’incontro avvenuto nel piccolo camerino del teatro Diana di Napoli, dove Luca De Filippo è in scena fino al 2 novembre con Sogno di una notte di mezza sbornia. «Uomo e galantuomo». Il titolo di una delle famose commedie di Eduardo ben si presta per sintetizzare in due parole la figura di Luca. Gentile e signorile, schietto e diretto. È l’impressione iniziale e finale che si ricava dal figlio del grande artista di teatro del ’900. A trent’anni dalla scomparsa del genio teatrale napoletano, che ricorre il 31 ottobre, Luca De Filippo non si esime dal tentare di spiegare perché Eduardo è Eduardo, ovvero in cosa consiste l’universalità delle sue opere. «Eduardo è Eduardo perché ha scritto 56 commedie, si è dedicato completamente al teatro ed è entrato nel cuore della gente. Commedie che hanno messo al centro l’uomo con la sua ipocrisia, la cattiveria. Ha raccontato le zone oscure della nostra anima, dinamiche che si verificano in tutto il mondo, non solo a Napoli». Di respiro universale è stato anche l’ultimo discorso di Eduardo, a Taormina il 15 settembre del 1984. Il famoso “discorso del gelo” che spiazzò tutti: ci si aspettava che coniugasse il teatro con parole come entusiasmo, calore, passione e invece lo accostò al gelo, al sacrificio duro e rigoroso. Lei ne fu sorpreso? «No, anzi. Avendo lavorato con lui per più di dieci anni sapevo che aveva un rapporto col teatro molto serio, rigoroso appunto; è stato un uomo che quando saliva sul palcoscenico si toglieva sempre il cappello in segno di riverenza verso il luogo. Quello che mi spiazzò fu ciò che disse su di me. È stato sempre fortunatamente, dico fortunatamente, molto avaro di complimenti con me e dichiarare pubblicamente ammirazione e il fatto che avessi svolto un ruolo importante nel suo percorso, beh … mi fece enorme piacere». Il rapporto di sangue ha mai contaminato quello professionale? «Il rapporto familiare è sempre stato accantonato, non doveva in alcun modo inquinare quello fra studente e maestro. Con il padre ho avuto degli scontri, l’ho messo in discussione; il maestro invece l’ho rispettato fino in fondo Eduardo è Eduardo non solo perché è nato Eduardo, ma perché lo è diventato, lavorando duramente, sacrificando tutto, i rapporti familiari… abbiamo sofferto moltissimo per questa sua abnegazione al teatro». È vero che se Eduardo entrava in teatro fischiettando era il caso nemmeno di salutarlo? «No... era una specie di tic che aveva, quello di fischiettare sotto la lingua; era un modo per riflettere, per pensare. E non vero che ha detto una volta “essere superstiziosi è da ignoranti, non esserlo… porta male” (però è carina!), né che la famosa ricetta degli spaghetti alle vongole fujute l’ha inventata lui. Sono un piatto povero della tradizione popolare napoletana. Però è vero che Eduardo dormiva pochissimo e io venivo svegliato alle sette del mattino da un odore di cipolla e di soffritti vari… era lui che stava cucinando qualche cosa. Cucinare gli piaceva tantissimo, lo aiutava a riflettere».
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