Il soprano tedesco Diana Damrau
Il personaggio che le è rimasto «più addosso» è quello della Contessa delle Nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart. L’ha interpretato per la prima volta a ottobre al Teatro alla Scala «dopo essere stata per tante volte Susanna». Attualissimo, racconta Diana Damrau, perché «il perdono che alla fine dell’opera concede la Contessa è quello di cui oggi il mondo ha davvero bisogno. Mi commuovo ogni volta che arrivo in quel punto». Il 2017 è l’anno del soprano tedesco: tre dischi in uscita (dal Met di New York un dvd de Les pêcheurs de perles di Bizet diretto da Noseda, dal 3 febbraio l'Europa riconosciuta di Salieri che con Muti e la regia di Ronconi il 7 dicembre del 2004 ha riaperto la Scala restaurata, per fine anno un disco dedicato a Meyerbeer) nuovi ruoli da affrontare «e una famiglia da mandare avanti» racconta la Damrau, nata a Günzburg nel 1971, e oggi tra le voci più richieste (e unanimemente apprezzate) della scena lirica. «Un marito baritono e due figli, uno di 6 e l’altro di 4 anni».
Come fa, Diana Damrau, a conciliare famiglia e una carriera che la porta in giro per il mondo, dalla Scala al Metropolitan?
«Organizzazione è la parola d’ordine. Mio marito è un cantante, Nicolas Testé. E aver sposato un collega aiuta a comprendersi. Le nostre carriere sono complementari: un soprano parte subito con i grandi ruoli per una voce che col tempo cambia, un baritono si irrobustisce nel tempo e i grandi personaggi arrivano con il passare degli anni. I miei figli li porto sempre con me. Per ora. Tra qualche anno, però, dovremo trovare una base stabile. Insieme ci divertiamo tantissimo. Balliamo scatenati, niente discoteca, però».
E che musica ascoltate? Solo classica in casa?
«Assolutamente no. Mi piace molto la musica anni Ottanta. Mi piace il rock che mi fa scatenare come fossi su una pista da ballo. Ascolto spesso Céline Dion. Tutta la musica, se bella, merita di essere ascoltata. Glielo dice una che prima di cantare Mozart ha fatto il musical».
Davvero?
«Sono stata per oltre sessanta repliche Eliza Doolittle in My fair lady. La Regina della notte del Flauto magico e Gilda di Rigoletto sono arrivate dopo».
Ma come è nata la sua passione per la musica?
«Sin da piccola cantavo e recitavo. Ma la passione per l’opera è scoppiata quando avevo 12 anni e ho visto in tv La traviata in versione film di Franco Zeffirelli. Belle immagini, bella musica… e quasi senza rendermene conto ho iniziato a cantare con Teresa Stra- tas che incarnava Violetta. Ero incollata alla televisione. E alla fine piangevo. Ero piccola, ma quella sera mi passò per la testa il pensiero che la musica è la cosa più bella che l’uomo possa fare, un nutrimento per l’anima. In quel momento ho deciso che avrei fatto di tutto per essere anch’io un giorno Violetta».
E c’è riuscita, debuttando il ruolo alla Scala nel 2013. Cosa l’ha aiutata a farcela?
«La fiducia che gli altri hanno sempre dimostrato nei miei confronti. Voleva dire che qualcosa di buono c’era. Un mio professore mi convinse a tirare fuori la mia voce, a provare a farla sentire senza un microfono. Mi riuscì bene e a 15 anni iniziai a studiare. Ma con molta cautela. Una cugina di mia madre era cantante, mi disse di andarci piano per non creare in me aspettative troppo grandi. Mi riascoltò a 16 anni e mi disse che potevo farcela».
Quando ha capito che la musica sarebbe stata la sua vita?
«Da subito. A ogni concerto, a ogni opera, a ogni progetto mi rendevo conto che quella era la mia strada. Volevo crescere, perfezionarmi. Senza pensare a quello che sarei diventata. Mi concentravo solo sul mio lavoro. Lo faccio ancora oggi perché un cantante non si ferma mai, guai se molla lo studio: quando preparo un nuovo ruolo prima lo affronto da sola poi mi affido ai maestri per perfezionarmi e per appropriarmi al meglio del personaggio ».
E a che punto è la sua carriera? Come si vede oggi rispetto alle speranze degli inizi?
«Sono riuscita a realizzare i miei sogni di ragazza. Violetta della Traviata l’ho sognata a lungo e ora la canto. Sono in un momento in cui cambio alcuni ruoli, ne provo di nuovi. Nelle Nozze di Figaro non sono più Susanna, ma la Contessa perché nella vita non sono più solo figlia, ma donna e madre e ho la maturità necessaria per affrontare il personaggio. Continuo a cantare la Regina della notte, un personaggio politico, inquietante nella sua incapacità di amare. Sono cresciuta, so quello che faccio e quello che posso fare. Parlerei di una fase di autocoscienza della mia maturità. Ma quella della crescita è una lunga strada: ho camminato tanto, ma ho ancora molti tratti da percorrere. Ho il privilegio di poter scegliere quello che voglio cantare, in assoluta libertà».
Questo significa che ha detto dei no a direttori o a registi?
«Si deve dire dei no. Ci sono produzioni in cui tutto funziona. Ci sono altre in cui invece si deve discutere, si deve lottare per affermare le proprie idee. Diciamo che ho un certo temperamento e in più occasioni l’ho spuntata, ma sempre per affermare la musica e il volere dell’autore. Non dico no a priori, mi piace il confronto. Ho detto invece no quando mi hanno proposto riprese di produzioni che avevo visto e non mi avevano convinto, penso al Ratto dal serragliodi Mozart con la regia di Calixto Bieito. Non sono contraria alle attualizzazioni, purché fatte con intelligenza».
Anche perché l’opera deve parlare alla nostra società, altrimenti è solo “roba da museo”.
«L’arte ha il compito di risvegliare le coscienze e sensibilizzare le persone sui problemi del mondo. La musica racconta sentimenti che hanno un valore eterno. Noi artisti non possiamo fare politica dal palco, ma possiamo offrire strumenti per aprire le menti delle persone e farle ragionare».