Il 35enne baritono Amartuvshin Enkhbat A fine settembre aprirà il Festival Verdi di Parma con “Un ballo in maschera” - / Roberto Ricci
Fa sempre un certo effetto quando in scena Amartuvshin Enkhbat apre bocca. Perché i tratti del suo viso sono quelli tipici della sua terra, la Mongolia. Ma il suo canto, la sua voce hanno un colore tutto italiano. Pronuncia impeccabile, canto tornito, modellato sui grandi baritoni italiani del passato. «Li ascoltavo da ragazzo. A loro devo la mia passione per il canto. E la mia pronuncia » racconta il baritono nato nel 1986 a Suhbaatar in Mongolia. Stasera torna all’Arena di Verona per vestire ancora una volta i panni del protagonista nel Nabucco di Giuseppe Verdi, nuovo allestimento (firmato dalla squadra artistica areniana) ambientato nella Seconda guerra mondiale. «In Italia la mia carriera è cambiata» racconta Amartuvshin Enkhbat che la prossima stagione, a giugno 2022, sarà il protagonista di Rigoletto al Teatro alla Scala dove ha debuttato lo scorso ottobre in un’Aida in forma di concerto diretta da Riccardo Chailly. «Tanto Verdi nella mia agenda – anticipa il musicista – perché a fine settembre aprirò il Festival Verdi di Parma con Un ballo in mascheraprima di un doppio debutto con Nabucco, a novembre alla Staatsoper di Vienna e a dicembre al Covent Gaden di Londra».
Ma come è entrata la musica nella sua vita, Amartuvshin Enkhbat?
In casa mia la musica c’è sempre stata. Quando ero piccolo i miei genitori l’ascoltavano e io ho imparato sin da subito a cantare, mi è sempre piaciuto. E non ho mai smesso.
Quale musica ascoltava?
Ho trascorso la mia infanzia ascoltando la musica tradizionale della Mongolia, l’ascoltavo attraverso la radio e la cantavo. E sempre alla radio mi piaceva molto ascoltare le colonne sonore cinematografiche.
Quando ha deciso che avrebbe voluto fare il cantante lirico?
Avevo 18 anni, stavo per iscrivermi all’università, ma il canto è sempre stata la mia passione così ho deciso di affrontarlo seriamente. Ho studiato per cinque anni all’Università per la Cultura e l’Arte della Mongolia e lì mi sono laureato.
Anche i suoi primi ruoli li ha affrontati in Mongolia, per alcune stagioni ha a Ulan Bator. Una lunga gavetta?
Sono stato per sei anni nella compagnia stabile del Teatro dell’Opera della Mongolia. Un’esperienza che mi ha dato modo di affrontare molti ruoli, in particolare quelli del mio amato Giuseppe Verdi, sempre presenti nei cartelloni del teatro. Un’esperienza che mi è servita molto una volta arrivato in Europa.
Chi si è accorto per la prima volta della sua voce? Chi l’ha portata in Occidente e come è arrivato a cantare in Italia e in Europa?
La prima persona che ha creduto in me è stata la mia maestra di canto, Yuruu Tserenpil. Mentre cantavo in Mongolia sono stato contattato da un agente russo che mi ha procurato i primi ingaggi. Poi mi ha scritturato un’agenzia tedesca. Ma la prima persona che mi ha portato a cantare in Europa è stata la mia amica Gantuya Tsevegdorj, che ha sempre lavorato come diplomatica ed è stata console onorario in Italia dove ha conosciuto Stefano Salvatori, pianista e direttore d’orchestra che collabora con il Teatro alla Scala: insieme mi hanno portato in Italia dove la mia carriera ha avuto una svolta.
Chi sono i suoi baritoni di riferimento?
Ci sono tanti baritoni famosi che ascolto e ammiro e che sono i miei modelli di riferimento. Ma ce ne sono due in particolare che mi hanno sempre colpito e ispirato. E sono due baritoni italiani, Piero Cappuccilli ed Ettore Bastianini.
Il suo accento, la sua dizione li ricorda molto. A proposito, lei non parla l’italiano, ma quando è in scena la sua pronuncia della nostra lingua è impeccabile. Come fa?
Non parlo la vostra lingua, è vero, ma sono sempre attento alle conversazioni, a quando gli altri parlano, così da carpire la giusta pronuncia. Tutti hanno sempre notato il mio italiano pulito e lineare, ma non penso ci sia un segreto se non il fatto che da ragazzo ascoltavo le incisioni dei grandi baritoni italiani cercando di assimilare il più possibile la loro arte.
Quali sono i compositori che ama di più?
Il compositore più importante e allo stesso tempo quello che amo maggiormente è Giuseppe Verdi. E poi trovo non meno grande, non meno meraviglioso Giacomo Puccini.
E i personaggi che preferisce interpretare?
Canto molto spesso le opere di Verdi, le amo tutte. Tra quelle che amo di più c’è sicuramente Rigoletto, un personaggio che vorrei cantare sempre. Ma sono molti i ruoli verdiani che amo, Germont in Traviata, il Conte di Luna nel Trovatore, Amonasro in Aida, Carlo in Ernani, Simon Boccanegra.
Per chi vive in Italia è difficile immaginare la Mongolia come un paese dove si ascolta e si canta il melodramma italiano...
In Mongolia c’è una tradizione ultradecennale di ascolto ed esecuzione della musica classica. Certo, siamo arrivati dopo l’Occidente, ma direi che non ci stiamo comportando male: ci sono teatri dove si fa opera e balletto, ci sono scuole di musica, artisti. Io mi sono formato in Mongolia e se sono quello che sono lo devo agli insegnanti che ho incontrato nel mio paese.
Verdi è conosciuto? E gli altri musicisti occidentali?
Nei cartelloni dei teatri, accanto alla nostra musica tradizionale, ci sono naturalmente i grandi autori occidentali. E la gente conosce e ama Verdi, così come Puccini, ma anche compositori russi come Petr Il’Ic Cakjkovskij e Sergeij Rachmaninov.
E i compositori locali che tipo di musica scrivono?
I nostri compositori, che in molti casi hanno studiato in Russia, scrivono opere e balletti, musica sinfonica e da camera, tradizionale e contemporanea. Ce ne è per tutti i gusti.
Le manca la sua terra quando canta in giro per il mondo?
Penso che il mio sia il lavoro più bello, ma stare lontano da casa e dalla mia Mongolia per lungo tempo è sempre difficile. Come ovviamente lo è per tutte le persone che vivono e lavorano lontano dal loro paese… che è sempre il paese più bello del mondo. E quindi è giusto che manchi.
Com’è la situazione nel suo paese? E i rapporti con la Cina?
La Mongolia, paese che è ricco di bellezze naturali e artistiche, ha una storia lunga e gloriosa, inseparabile da quella dei nostri vicini geografici, la Cina e la Russia. Abbiamo avuto guerre e abbiamo fatto la pace, ma la pace è sempre la cosa da desiderare per tutti gli uomini. Oggi, come tutto il mondo sta facendo, l’unica guerra che stiamo combattendo è quella contro il Covid. E speriamo di vincerla tutti insieme, per tornare a fare musica come prima.