Kim Philby (1912-1988), l’agente segreto britannico al servizio dell’Unione Sovietica - Trinity Mirror / Mirrorpix / Alamy Stock Photo
Pubblichiamo un brano estratto dal capitolo dedicato a Kim Philby del libro di Giorgio Ferrari Spie di Stalin. I ragazzi di Cambridge che cambiarono la storia (Neri Pozza, pagine 320, euro 20,00, in uscita oggi). Ferrari, già inviato di “Avvenire”, ritrae il gruppo di giovani europei e americani – da Klaus Fuchs a Bruno Pontecorvo ai coniugi Rosenberg – che dagli anni Trenta fino alla Guerra Fredda, si infiltrò nei gangli del potere per consegnare a Mosca i segreti dell’energia atomica. Tra essi spiccano Kim Philby, Donald Maclean, Guy Burgess, Anthony Blunt e John Cairncross, blasonati studenti dell’upper class inglese, meglio noti come i Cinque di Cambridge.
La storia del quintetto di Cambridge è troppo nota e insieme talmente oscura che ripercorrerla non fa che riproporre da anni le medesime domande. Come è accaduto che un gruppo di giovanotti della buona borghesia britannica abbia consapevolmente tradito il proprio Paese, la Corona, le proprie origini a favore di un mondo, quello sovietico, che non avevano mai conosciuto, nemmeno intravisto, soltanto acquisito e orecchiato per sentito dire? Come è stato possibile che rampolli di buona famiglia, studenti di un college esclusivo di Cambridge, siano stati attirati e successivamente reclutati fino a diventare per quasi un trentennio agenti e spie al servizio di Mosca, fino a raggiungere i piani alti dell’intelligence senza mai – a quanto è dato sapere – l’ombra di un ripensamento, di un rammarico, dediti anima e corpo a una causa più idealizzata e immaginaria che non accuratamente studiata, consegnandosi a una doppia vita fatta di inganni nell’obbligata solitudine di chi deve stare costantemente sul chi vive?
Più d’uno ha avanzato l’ipotesi che Philby si fosse suicidato. A chi una volta gli aveva domandato se avesse mai pensato al suicidio rispose: «Un vero agente segreto spara una volta sola nella vita, quando non ha altra via d’uscita». Di lui dirà anni dopo Jurij Modin, il controller del quintetto fin dai primi anni della Guerra fredda: «Philby non ha mai rivelato la sua vera personalità. Né gli inglesi, né le donne con cui viveva, né noi stessi del Kgb siamo mai riusciti a perforare l’armatura di mistero che lo rivestiva. Il suo grande risultato nello spionaggio fu il lavoro della sua vita, e lo occupò completamente fino al giorno della sua morte. Ma alla fine sospetto che Philby si sia preso gioco di tutti, soprattutto di noi stessi». Per trentatré anni, dal 1930 al 1963, Kim Philby aveva tessuto la sua bava del diavolo, come gli spagnoli chiamano la tela del ragno, passando all’Unione Sovietica importanti segreti politici, militari, e soprattutto aveva informato Mosca delle reti di agenti britannici infiltrati dentro la Cortina di ferro. Per questo il più grande traditore del Regno Unito è considerato un eroe. Nell’ottobre del 2017 l’ex presidente della Duma e capo dell’Svr (i servizi di intelligence russi all’estero) Sergej Naryškin ha inaugurato a Mosca una mostra con cimeli e documenti top secret spediti da Philby a Stalin e Molotov durante la Grande guerra patriottica. «Philby – sottolinea Naryškin – ha fatto molto per cambiare il corso della Storia ed è stato un grande cittadino del mondo». Dal pozzo dei ricordi riemerge il nazionalismo russo e l’immarcescibile disinformatija senza la quale i regimi in Russia non riescono a sopravvivere: «Philby – dice il direttore della Società russa di storia Konstantin Mogilevskij – fu un patriota per entrambi i suoi Paesi, tanto che non mise a repentaglio le vite dei suoi colleghi». Affermazione teatralmente falsa, visto che il tradimento di Philby e le informazioni che passò a Mosca sulle reti di spionaggio britanniche costarono la vita a centinaia di persone, ma gli eroi abbisognano della purezza di Perceval e la Russia non è da meno. «Philby – aggiunge Mogilevskij – è come Edward Snowden: non ha scelto di svelare i segreti del proprio Paese per denaro per migliorare la propria posizione sociale, lo ha fatto perché convinto di fare del bene». (...)
Su iniziativa di Naryškin, la Russia di Putin onora e venera un agente segreto immaginario: nel bosco di Jasenevo, accanto ai locali dell’Svr, un monumento bronzeo raffigura un uomo seduto sull’erba immerso nei propri pensieri, le gambe incrociate, il braccio appoggiato al ginocchio in rappresentanza di tutte le «talpe» senza nome che hanno servito la Russia negli ultimi cento anni. Si tratta di Vjačeslav Tichonov, l’attore che ha interpretato la figura di Max Otto von Stierlitz, protagonista di una fiction del giornalista e scrittore Julian Semënov (...) che con la serie televisiva Diciassette momenti di primavera, andata in onda dal 1973 sulla tv sovietica su iniziativa e sotto la supervisione dell’allora capo del Kgb Jurij Andropov, ha rapidamente sedotto milioni di russi. Stierlitz è una talpa infiltrata nel Sicherheitsdienst, il servizio di sicurezza delle SS negli ultimi mesi del crepuscolo del Terzo Reich, ma soprattutto è una figura che rivaluta il ruolo del Kgb. La serie televisiva (...) appare come la miglior risposta sovietica alla straripante e un po’ fanfaronesca immagine cinematografica di James Bond. Già qualche anno prima il romanziere bulgaro Andrei Guljashki aveva contrapposto a 007 il proprio eroe, Avakum Zakhov. Ma la saga delle spie non è mai finita. Nella primavera del 2024 è tornata in auge la Smerš. Ovvero, Smert’ špionam, morte alle spie. Il rimando a James Bond nel più bel romanzo di Ian Fleming From Russia with Love è d’obbligo, anche perché l’organizzazione non era pura invenzione: la Smerš esisteva davvero come dipartimento dell’Armata Rossa dedicato al controspionaggio militare. Fu Stalin a istituirla nel 1943 come unità di infiltrazione con licenza di uccidere nelle linee nemiche, ma ufficialmente venne sciolta il 4 maggio di tre anni dopo. Attenzione alle date, però: nel dicembre del 2023 – ottant’anni dopo la sua creazione – un parlamentare della Duma ed ex comandante militare informava pubblicamente i russi che su disposizione di Vladimir Putin la Smerš aveva ripreso vita e funzioni. Primo ingaggio, il campo di battaglia dell’Ucraina nelle zone controllate da Mosca: il Doneck, il Lugansk, la Crimea, Cherson, Mariupol’, Zaporož’e. La Smerš è tornata e insieme a lei la caccia alle spie. Attendiamo fiduciosi che da qualche parte si rifaccia vivo anche 007. Il che non è del tutto da escludere: da qualche anno l’MI5 e l’MI6 hanno ricominciato a reclutare agenti operativi russofoni. Fino a poco tempo prima, i più richiesti erano quelli di lingua araba. Ma la Russia rimane sempre l’irrisolta ossessione del Regno Unito. Il Grande Gioco continua.