lunedì 28 ottobre 2024
Successo al Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia per "Trieste 1954", il musical del "cantattore" romano a 70 anni dal ricongiungimento della città all'Italia (ben 9 anni dopo la fine della guerra)
Simone Cristicchi è Persichetti che torna a Trieste

Simone Cristicchi è Persichetti che torna a Trieste - Foto Fabiana Cattaruzza

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Entra dalla platea come qualsiasi spettatore, Simone Cristicchi, valigia in mano e cappotto da romano freddoloso che arriva a Trieste e pensa che debba per forza tirare la bora. Il pubblico si volta sorpreso e capisce da subito che non sarà uno spettacolo come gli altri. Siamo al Teatro Rossetti e Trieste 1954 va in scena il 26 ottobre sera, alla fine di una giornata storica per la città giuliana, che ha festeggiato fin dal mattino il settantesimo anniversario dal suo ritorno all'Italia. Già, perché qui tutto è diverso da ogni altro luogo, compresa la storia: la guerra era finita ovunque da nove anni, ma solo il 26 ottobre 1954 Trieste si scrollava di dosso l'amministrazione militare straniera, e gli eserciti anglo-americani lasciavano finalmente il posto ai bersaglieri, ai fanti, ai carabinieri, alla nave Vespucci, accolti all'alba da una folla sconfinata in piazza Unità d'Italia (sotto un mare di ombrelli perché diluviava). A settant'anni di distanza, le Freccie si avvitano nel cielo sopra il golfo e oggi come allora Trieste luccica di tricolori.

Tocca al cantattore romano celebrare per il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia un evento che allora commose tutta Italia, ma oggi resta più che altro confinato in queste zone o nella memoria di chi ha sulle spalle qualche decennio in più (Renzo Arbore si commuove alle lacrime nel raccontarci di quando, studente a Foggia, manifestava con la scuola per Trieste italiana...). E così Cristicchi ha l'idea geniale di ri-vestire i panni di Persichetti, il simpatico archivista romano protagonista dieci anni fa del suo musical Magazzino 18, inviato dal ministero a catalogare le masserizie che gli esuli istriani nell'esodo del 1947 abbandonarono a Trieste. Questa volta Persichetti porta con sé la moglie Adele e con lei scopre questa pagina dimenticata della “città sospesa”, un luogo - le spiega in romanesco - "dove l'impensabile è diventato possibile", "una città folle, schizofrenica, o forse bipolare, sdoppiata" e il perché è presto detto: "Nordica e mediterranea, solida e liquida, il corpo in Europa e la testa nell'Adriatico, italiana ma autonoma". Ossimori perfetti per una Trieste che è Mitteleuropa e Italia, palazzi asburgici e l'unica piazza al mondo il cui quarto lato è di mare, e i cognomi sono mutevoli a seconda delle dominazioni. Il pubblico per cui recita è un giudice severo (i triestini sono caustici e non perdonano errori) e Cristicchi lo sa: "Un paio di guanti: è la prima cosa che mi viene in mente pensando a Trieste", esordisce, "non per il freddo, un paio di guanti per toccarla con delicatezza, per non mancarle di rispetto... e anche per non bruciarmi. Perché la sua storia è rovente, spigolosa, prismatica, e qualsiasi cosa si dica è destinata a scontentare qualcuno". Fatta questa premessa, il suo racconto si inoltra nella storia: con i "moti liberali del 1953" (roba che altrove si studia nel capitolo dell'Ottocento) che lasciarono sul selciato la vita di sette giovani patrioti uccisi da pallottole inglesi; con la popolazione che sfidava gli anglo-americani inalberando la vietatissima bandiera italiana; con i carri armati di Tito schierati sul confine al grido di "Trst je naš", Trieste è nostra, e le truppe inviate in risposta dal governo di Roma... Cose dell'altro mondo, per il resto d'Italia, che intanto si avviava verso il boom economico e viveva in pace.

Filmati e musiche d'epoca ricostruiscono il ritorno di Trieste all'Italia nel 1954

Filmati e musiche d'epoca ricostruiscono il ritorno di Trieste all'Italia nel 1954 - Foto Fabiana Cattaruzza

Eppure il racconto di Cristicchi si dipana con leggerezza, persino con umorismo, e il tutto è impreziosito da brani musicali di repertorio (Vola Colomba, canzone vincitrice a Sanremo nel 1952 e scritta proprio per Trieste ancora lontana, La campana di San Giusto, i brani dei grandi Lelio Luttazzi e Sergio Endrigo), eseguiti dal Coro del Friuli Venezia Giulia e dall’orchestra del Teatro Verdi, mentre a tutto palco scorrono i filmati di 70 anni fa messi a disposizione dagli archivi Rai, la città a ferro e fuoco, la morte, ma infine la libertà riconquistata, e persino i compassati triestini si lasciano andare. «Forse è questo che apprezzo di più dei triestini – afferma Cristicchi –: che hanno imparato a vivere così, in questo equilibrio precario, fra un colpo di vento e laltro, restando in piedi in mezzo alla bufera degli eventi, affrontando con coraggio le raffiche improvvise della Storia». Gli applausi diventano inarrestabili.

Lo spettacolo - serata unica - è stato offerto gratuitamente alla cittadinanza, «perché se fai una festa non chiedi agli invitati di pagare, e noi abbiamo inteso offrire una vera festa alla città», spiega Paolo Valerio, direttore del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e regista di Trieste 1954, i cui testi sono di Simone Cristicchi e Simona Orlando, le musiche originali di Valter Sivilotti. In futuro Trieste 1954 potrebbe anche partire in tournée, «perché è una storia che riguarda tutta la nazione – prevede Valerio -, i filmati d’epoca dimostrano la passione con cui tutte le città d’Italia parteciparono prima all’ansia durante i moti popolari, poi al tripudio, ovunque si fecero grandiose manifestazioni»: il teatro come risveglio della memoria e della coscienza, dunque, perché «oggi invece questa storia è quasi dimenticata, anche io che sono veronese l’ho imparata quando sono arrivato a Trieste, è incredibile che la scuola non la insegni», conclude il direttore del Teatro Stabile. Che ha voluto celebrare l’anniversario inaugurando anche una terza sala teatrale, piccolo gioiello polifunzionale da 54 posti, attrezzato per ospitare piccoli spettacoli di prosa o musica e chiamato proprio “Sala 1954”. Anche il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia infatti è nato non a caso nel dicembre 1954, uno dei primi teatri a fiorire dopo il disastro della seconda guerra mondiale.

L'ingresso di Cristicchi dalla platea al Rossetti di Trieste

L'ingresso di Cristicchi dalla platea al Rossetti di Trieste - Foto Fabiana Cattaruzza

Prossimo appuntamento è 26 ottobre un mare d'ombrelli”, spettacolo dalla “doppia anima”: scritto in forma di radiodramma per le frequenze di Radio Rai, poi si trasformerà per il teatro (in scena dall’1 al 10 novembre al Rossetti, regia di Paolo Valerio) fatto di recitazione, suoni, effetti, rumori. L’opera ricostruisce la notte tra il 25 e il 26 ottobre 1954 in un interno borghese dove le memorie e i sentimenti di tre generazioni si affollano nell’attesa di un evento che segna, con nove anni di ritardo, la fine della guerra.​

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