Le «trincee» della vita si possono scavalcare solo con le «idee». Ma bisogna agire, non serve «sedersi sulla riva e aspettare mediatica pietà». Alberto Bertoli, figlio del grande cantautore emiliano Pierangelo, lo canta nel suo nuovo singolo Come un uomo. Lo canta e poi lo fa: affrontando la trincea di ostacoli messi sul cammino delle persone disabili regalando la propria musica all’associazione Ledha, da trent’anni in lotta per i diritti dei disabili, che chiuderà la campagna 'I diritti non si pagano… ma costano' proprio con un concerto di Alberto. Il 5 dicembre all’Auditorium del Pime a Milano, con incasso ovviamente destinato all’attività di Ledha e in particolar modo alla campagna per sostenere ricorsi al Tar a costo zero in casi di evidente discriminazione di persone disabili.
Alberto, non è la prima volta che si mette in gioco per chi ha bisogno. Cosa spinge a queste scelte?C’è una linea sottile fra il mettersi in gio- co e far recepire cose come queste in modo scorretto. Certo non si può dire sì a tutti. Però la musica raggiunge molti e se può aiutare ben venga, fa bene anche a me e lo dico senza ipocrisia. Basta poco: per esempio a Natale, come faccio da sei anni, andrò all’ospedale di Sassuolo a cantare. Per i malati e raccogliere fondi per 'Africa nel cuore', per ospedali in Africa.
Pierangelo Bertoli era su una sedia a rotelle. Quindi lei conosce bene, le difficoltà di un disabile…Lui era però uno che diceva che grazie alla musica aveva il lusso di una vita normale… Ma certo vivere la disabilità in famiglia fa capire molto. Andiamo al ristorante? La prima risposta di papà era: ci sono gradini? Ti formano, certe cose. A un architetto disse: sapete come si fa a non scordare le esigenze dei disabili? State una settimana legati a una carrozzina. Non dimenticherete più nulla. C’è una ragazza, Elisa, che studia giurisprudenza. Ma ogni giorno deve prendere il treno: e capire se i treni sono adatti a farla salire o se ci devono essere persone per aiutarla. E lo studio non è evasione.
Suo padre come reagiva di fronte alle difficoltà?Mai visto nervoso. Diceva che ognuno ha problemi. Del resto gli amici dicevano che si sentivano loro handicappati, perché non sapevano come parlargli… Lui da bambino si arrampicava sul muro per entrare in casa dalla finestra. Usava le braccia come Chechi.
E diede il suo volto a una campagna Tv di sensibilizzazione. Faceva molto per gli altri?Ogni anno una ventina di concerti gratis. Più cose scoperte alla sua morte. Però voleva progetti seri, rivolti al futuro. Non eventi per compiangere.
Quali canzoni rappresenteranno, nel concerto, il senso anche di questa attenzione a chi soffre?Direi A muso duro, vivere senza compromessi, Eppure soffia, perché la speranza vive sempre, e Le cose cambiano, per dire di non farci mutare da eventi esterni, restare sempre uomini nella dignità».
Per lei è difficile essere un artista come suo padre? Non capisco perché in Italia si critichino queste situazioni. È difficile sì. Vorrei anche cantare le sue cose su disco, ma mi criticherebbero ancor più.
Quali sono ora i suoi progetti personali? È pronto un disco e per il 5 esce il Dvd del tributo a papà con Ruggeri, Masini, Tazenda… Poi, il 12 dicembre, un singolo su disco in Emilia e su web per aiutare persone che non arrivano a fine mese.
Insomma, l’eredità di Bertoli è un’eredità etica… Sì. Il senso è nel brano Credi in te . Portare avanti la vita malgrado le difficoltà, un pensiero poetico e intellettuale che diceva soprattutto di pensare con la nostra testa. Perché ognuno è unico.