Per strada, è una delle proposte teatrali interessanti e significative di un maggio vitale sulle scene italiane. L’aggettivo «vitale» si riferisce alla tenuta e energia delle proposte sceniche, allo stato di salute buono che il nostro teatro registra in questa strana e nervosa, accidiosa primavera. Vitale non certo per tematica e «storia».
Per strada, ottimo debutto nella regia teatrale di Raphael Tobia Vogel, ottimi attori, felice fusione di densità del teatro e dinamica cinematografica, riprendendo il prototipo, il famoso
On the road di Kerouac, è un dialogo teso, a tratti sognante a tratti brutale, drammaticamente confessante impotenza e disil- lusione, e culmina con un suicidio. Che peraltro ne segnava l’inizio, seppur con modalità diverse da quelle messe in azione dalla macchina teatrale. Il suo autore, Francesco Brandi, anche attore e protagonista (con un magnetico, elegante Francesco Sferrazza Papa), è giovane, classe ’82. Negli stessi giorni del debutto (al teatro Franco Parenti, in scena fino al 15 maggio), assistevamo a Milano, all’Elfo Puccini, a un altro spettacolo legato al tema del suicidio, in quel caso storico, trattandosi dell’amante del pittore Francis Bacon.
Caro George, regia di Antonio Latella, verte su un tema tragico e ferale, in un testo di Federico Bellini denso, aspro e da discutere, nella sua intensità. Mentre è assolutamente indiscutibile la prova attoriale di Giovanni Franzoni, uno dei cinquantenni di classe della nostra scena, un nobile curriculum alle spalle, e, con questa performance, da ora uno degli attori di prim’ordine del teatro italiano. Certo, il fatto che il suicidio compaia in due opere di autori giovani, agli inizi del millennio sperato risorgente e rinascente, e inaugurato da stragi, Isis, efferatezze, genocidi, è preoccupante. Il suicidio era canonico in certo tardo romanticismo o esasperato, e esasperante, espressionismo. Il grande Beckett ne aveva esorcizzato lutto e sangue prolungando un’attesa agonica, in una palude più grigia che stigia, confinante con una morte eterna e forse originaria, ma resistendo. I corpi si tenevano comunque -anche semisepolti, o caracollanti, o paralizzati- in vita. È un sentimento del tempo di cui l’autore dell’ottimo
Per strada è pienamente consapevole: ha rivissuto il suo Kerouac attraverso l’incontro di due giovani in una strada, grande nevicata, un incontro fiabesco, comico (è vero, non si riesce mai a cambiare le gomme della propria auto, quando nevica), realizzato perfettamente grazie alla regia di Vogel che fa buon uso della sua esperienza cinematografica e televisiva, con gente come Pupi Avati, tanto per intenderci…La storia dell’incontro di due giovani, uno ricco, alto e bello, l’altro non ricco, basso, bruttino, sotto la neve, è resa con incanto da fiaba cinematografica americana fine anni Cinquanta grazie a regia, scenografia, uso del cinema. Ma la fatalità di quell’incontro mostra, nel testo, una ricchezza che allevia il nichilismo pur evidente nella vicenda: tragedia e commedia si fondono come accade nel teatro felice. Uno vuole uccidersi, l’altro lo farà, ma non smettiamo di ridere, grazie a un testo di velocità e comicità leggera e amara. Non molto antropologicamente profondo, se vogliamo, ma questo accade anche in Ionesco e Campanile. Teatralmente coinvolgente, divertente, duro quanto basta e mosso oniricamente da una regia elettrica, partecipe del dolore e divertita insieme, compassionevolmente ingiudicante.
© RIPRODUZIONE RISERVATA È una prova molto convincente la pièce tratta da “On the road” di Jack Kerouak, l’opera-simbolo della beat generation Ottimo il cast e la regia Al teatro Franco Parenti di Milano in scena fino al 15 maggio