Italia, più film e meno incassi. Presentato ieri alla Luiss Guido Carli la quinta edizione del
Rapporto 2012: Il mercato e l’industria del cinema in Italia, un’analisi curata dalla Fondazione Ente dello Spettacolo. Ai 166 film prodotti nel 2012, rispetto ai 155 del 2011, corrisponde un calo degli incassi nelle sale, diminuiti di un altro 7,95% dopo il crollo del 17,1% registrato nel 2011. Un dato che, a prima vista, potrebbe sembrare contraddittorio, ma che conferma ancora una volta la svolta compiuta dal tax credit, il credito d’imposta. A metà aprile l’Anica aveva presentato, in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività culturali, il suo rapporto sull’industria cinematografica italiana: i dati confermavano che ben 79 film italiani avevano usufruito di agevolazioni fiscali del valore di 87 milioni di euro.E se allora il rinnovo del tax credit sembrava incerto ora le buone notizie ci sono. Il famoso Decreto del fare, pubblicato sabato scorso dal Governo, le conferma. Nel 2013 le risorse a favore del tax credit ammonteranno a 80 milioni per il 2014 e a 40 milioni per il 2015. Un passo in avanti che merita attenzione e che però non è ancora concluso. Si punta infatti alla stabilizzazione per il tax credit, che genera, secondo i dati Anica, un gettito fiscale pari a 1,5 euro per ogni euro investito. «C’è ancora molto da fare – spiega Dario Viganò, presidente dell’Ente dello Spettacolo e direttore del Centro Televisivo Vaticano, durante la conferenza stampa di presentazione del volume – per la nostra industria. I tagli ulteriori del Fus, il Fondo unico dello Spettacolo, hanno strutturato in maniera stabile la capacità delle società di produzione di fare leva su altri aspetti, come il tax credit e l’investimento da parte dei privati. Questo ha portato al consolidamento delle strutture produttive, ma occorre ancora mostrare la ragionevolezza dell’investimento statale del cinema, soprattutto sulle opere prime. Emerge poi un altro cambiamento in merito alla fruizione del cinema. Non si vedono meno film, ma si frequenta di meno la sala cinematografica. Il ciclo vitale dell’homevideo volge alla fine e il 2012, anno "complesso", suggerisce percorsi e tendenze da intraprendere per il futuro della nostra industria». La crisi economica si sente: il 41,1% delle aziende del settore ha infatti registrato un calo sia dei ricavi che dell’utile, mentre dal 2008 al 2012 dimezzati gli investimenti dei network TV sulle fiction. E se occorre puntare anche a nuove fruizioni del cinema (dai tablet ai canali televisivi a pagamento) la sala, con le sue complessità, merita attenzione e soluzioni. «Le sale – sottolinea Lionello Cerri, Presidente Anec – si stanno trasformando e forniscono, grazie alla digitalizzazione, contenuti alternativi anche solo per pochi giorni, permettendo a pubblici diversi di frequentare la sala in modo diverso. Occorre però far emergere un dato che accomuna tutte le sale di cinema, la politica dei prezzi. Il costo del biglietto è sotto l’indice di inflazione. Se nel 2002 il biglietto aveva un valore pari a 14mila lire, ora il costo medio è di 8,50 euro. Un altro problema è che solo il 60% delle sale sono state digitalizzate: il restante 40%, per un totale di 800 schermi, sono monosale. Ovvero quei cinema, tra cui le sale di Comunità, che richiedono da parte dello Stato e dell’industria un’attenzione perché sono un presidio importante per una proposta di cinema non convenzionale. L’Acec, in collaborazione con Mibac, sta studiando soluzioni per "salvare" queste sale, così importanti anche per lo sviluppo del cinema italiano». Sulla valorizzazione del nostro cinema e sull’“eccezione culturale” si è espresso anche Nicola Borrelli, direttore generale per il Cinema del Mibac: «Dobbiamo chiederci quale sia il ruolo dell’audiovisivo nella storia del nostro Paese. Se il cinema è un patrimonio culturale da preservare e tramandare dobbiamo prevedere un intervento pubblico senza ricorrere, però, all’assistenzialismo».