Joseph Mazzulla, detto Joe, allenatore dei Celtics, festeggia il 18° titolo dei Celtics, primato assoluto in Nba - ANSA
Mai nessuno come i Celtics. Boston conquista il campionato dei sogni americano e diventa la squadra più vincente della Nba. Il trionfo nella serie finale contro i Dallas Mavericks (4-1) vale il 18° titolo in bacheca che significa primato assoluto e sorpasso sui rivali di sempre, i Los Angeles Lakers (a quota 17). Un appuntamento con la storia che sfuggiva dal 2008 concluso quest'anno dopo una cavalcata trionfale: dominanti in regular season, spietati ai playoff. Merito senz’altro di fuoriclasse come Jayson Tatum o Jaylen Brown, ma anche dello stratega in panchina. Il cognome tradisce subito le origini italiane (i suoi avi sono di Itri, in provincia di Latina), lui è Joseph Mazzulla, detto Joe, 35 anni, il più giovane coach dopo il grande Bill Russell a riuscire nell’impresa di portare Boston alle Finals. Chiamato a sorpresa a sostituire Ime Udoka dal febbraio 2023 è l’allenatore con la percentuale più alta di vittorie nella storia della Nba. Da papà Dan, cestista affermato, ha appreso il talento per la palla a spicchi e anche l’orgoglio per le proprie radici italiane. Madre afroamericana, è nato a Johnston il 30 giugno del 1988 e cresciuto nel Rhode Island.
Oggi è un coach calmo e misurato, in realtà il suo passato è stato abbastanza turbolento. Nel 2009 è stato perfino arrestato per un’aggressione in un bar. Ora però ha fatto i conti con la sua storia e ne parla senza imbarazzo: «Tutti pecchiamo…Non sono perfetto. Ho fatto degli errori. Ho lavorato per reinventarmi. So chi sono e conosco gli errori che ho commesso. È importante esserne sicuri se vuoi essere autentico con le persone». Da qui anche la scelta di laurearsi in psicologia dello sport, per saper allenare le proprie emozioni. «Se vuoi diventare più forte, vai in sala pesi. Se vuoi diventare mentalmente più duro, devi andare in palestra mentale». E tuttavia il fattore decisivo è stato un altro: «Dovevo trovare un fondamento: ora è la mia fede. Se non hai una bussola è molto difficile orientarsi». Quando è stato chiamato da Boston in molti dubitavano, ma lui non si è scomposto: «Ho sempre creduto che sarei diventato un allenatore Nba. Ho iniziato ad allenare perché tanti si sono sacrificati per me, ora voglio farlo per i miei giocatori». La fede cattolica è il collante che tiene unita anche la sua famiglia. Dieci anni fa ha sposato Camai Roberson: la donna, il figlio Emmanuel e il figliastro Michael sono oggi «le persone più importanti».
Non ha mai taciuto la svolta religiosa e spiazzò tutti nel post partita di una gara dei Celtics a cui avevano assistito anche il principe William e sua moglie Kate Middleton. Quando a Mazzulla fu chiesto se avesse incontrato i reali la sua risposta fu lapidaria: «Intendete Gesù, Giuseppe e Maria? Conosco solo una famiglia reale...».È la consapevolezza forte di chi ha trovato nella spiritualità un’altra prospettiva: «Come posso avere un impatto positivo sulle persone intorno a me? Questo è qualcosa che ho imparato nel corso della mia vita... Devi camminare con umiltà, sapendo che hai una responsabilità verso gli altri». Anche nelle circostanze più difficili e dolorose, come la morte del papà per un tumore, Joe ha maturato la certezza che c’è del buono in ogni cosa. E che la vita è sempre più grande di un campo da basket. L’anno scorso quando Boston si ritrovò sotto 3-0 nella serie finale di Conference gli chiesero in sala stampa a che cosa pensasse: «Sinceramente? Ho conosciuto tre ragazze sotto i 21 anni malate di cancro in fase terminale. Pensavo che le avrei aiutate parlandoci, invece loro hanno aiutato me a comprendere cos’è la vita. Guardare una ragazza che sta per morire, sorridere e godersi la vita questo è ciò che conta davvero». C’è un luogo che è stato decisivo per la sua formazione: la scuola superiore cattolica Bishop Hendricken di Warwick. Qui è tornato dopo essere stato prescelto da Boston. Padre Marcel Taillon, ex cappellano e prete del liceo, è colui che ha guidato il cambiamento di coach Mazzulla e non ha dubbi. «La sua fede, la sua vita familiare e la sua profonda gratitudine per tutto ciò che ha ricevuto rendono la sua vita una risposta invece che un lavoro. Forza Celtics».