domenica 4 novembre 2018
Il fuoriclasse di Cantù e dell’Italia del basket in carrozzina: «Ho perso le gambe a 14 anni. Questo sport mi ha dato la forza per andare oltre. Oggi non mi manca nulla, sono una persona felice»
Filippo Carossino, 25 anni, giocatore dell’UnipolSai Cantù e capitano della Nazionale (foto Fabio Oriani)

Filippo Carossino, 25 anni, giocatore dell’UnipolSai Cantù e capitano della Nazionale (foto Fabio Oriani)

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Per spiegare il potere del basket il leggendario Bill Russell diceva che questo è «l’unico sport che tende al cielo, una rivoluzione per chi è abituato a guardare sempre a terra». Entrando al Palafamila di Seveso durante una normale giornata di allenamento si percepisce subito il fascino magnetico della pallacanestro: il rumore della palla a spicchi che rimbalza, l’odore del parquet, il “ciuff” della retina del canestro quando il pallone entra dentro. Questa è la casa dei campioni d’Italia del basket in carrozzina, la Briantea84 Cantù, squadra che da qualche anno colleziona trofei su trofei e sembra non avere rivali. Filippo Carossino, uno dei leader, nonché capitano della Nazionale italiana, è un ragazzo oggi 25enne, a cui la pallacanestro ha dato la forza per guardare in alto e superare un evento traumatico che avrebbe potuto bloccarlo per sempre. Originario di Arenzano (Genova) aveva infatti solo 14 anni quando un’auto a folle velocità lo falciò mentre si trovava in una zona pedonale. Addio gambe, cominciava una vita che non sarebbe stata più la stessa: «Dopo due mesi e mezzo di ospedale tornare alla vita quotidiana è stata davvero dura. Sentivo che mi mancava qualcosa e prevaleva la rabbia: “Perché proprio a me?”. Non potevo più giocare a calcio con i miei amici… Mi sentivo spaesato. E quando ho visto le protesi mi son detto: “Come farò a camminare con questa roba?”. Mi sembrava un ostacolo più grande delle mie capacità ». E invece giorno dopo giorno è maturata una nuova consapevolezza: «Da solo non ce l’avrei mai fatta. Da soli non si fa mai niente. La mia famiglia mi è stata vicina, soprattutto i miei genitori. Ma io che sono sempre stato uno di compagnia devo dire grazie anche agli amici: sono stati bravi a farmi sentire sempre uno di loro e mai uno diverso. Con loro non c’è mai stato un prima e un dopo, ma sono sempre stato “Pippo”». La svolta però è avvenuta sotto canestro. Dopo aver provato anche l’handbike la folgorazione per il basket nel 2009 è stata decisiva per riprendere in mano la vita: «Non l’avrei mai detto. Questo sport non mi aveva mai attirato prima e facevo fatica a pensare che si potesse giocare da seduti. E invece grazie a un amico mi ha preso da subito. Avevo trovato qualcosa che mi entusiasmava davvero. È stato un nuovo inizio». Una sfida che richiedeva comunque pazienza e sacrificio: «Quando ho cominciato, spesso nel palleggiare la palla picchiava sulla carrozzina. Ci vuole infatti tanta coordinazione, ma con l’allenamento si riesce. Fondamentale è saper controllare bene la carrozzina come se si trattasse delle tue gambe». Ma Filippo Carossino ha bruciato le tappe: «Uno dei momenti più belli fin qui della mia carriera è stata la prima convocazione in azzurro, nel 2011. Avevo 18 anni. Una grande emozione oltre che un’iniezione di fiducia. Bello però è stato anche il primo trofeo vinto qui a Cantù, la Coppa Italia, dopo un primo anno disastroso». Dopo il triplete italiano dello scorso anno, la nuova stagione della Briantea84 è ripartita subito col botto con la conquista della quarta Supercoppa italiana, la terza consecutiva: «Quest’anno vogliamo vincere di nuovo tutto in Italia, tra cui il quarto scudetto di fila. Ma stiamo facendo bene anche in Europa per cui puntiamo alla Coppa dei Campioni. Abbiamo una società lungimirante e di alto livello e un gruppo di grandi giocatori con sei Nazionali. Siamo giovani e con ampi margini di miglioramento. Abbiamo aperto un ciclo e non vogliamo fermarci».

Obiettivi alti anche in Nazionale: «Agli Europei dell’anno prossimo dobbiamo arrivare tra le prime quattro per andare ai Giochi di Tokyo 2020. È difficile ma possiamo farcela». Un sogno dopo l’altro, senza nessun rimpianto per la vita precedente. Lo si legge sul volto di Carossino, sempre pronto al sorriso: «Oggi sono una persona felice, non mi manca nulla. Certo l’incidente mi ha stravolto l’esistenza e fa parte della mia storia. Ma sono anche passati undici anni. Se mi fossi fermato oggi starei in casa a pensare di essere la persona più sfortunata di questo mondo. E invece, come tanti, sono riuscito ad andare oltre. Ho pensato che la vita mi dava una seconda possibilità e stava a me giocarmela bene. Così con piccole conquiste quotidiane mi sono ritrovato a fare ciò che pensavo fosse impossibile».

Una frase gli è rimasta scolpita dentro: “Se cadi sette volte, rialzati otto”. «Me la disse una volta un signore in ospedale, amputato come me. Non mi conosceva, ma aveva sentito la mia storia e venne da me per rassicurarmi sul fatto che si può sempre andare avanti. Una massima che mi ha fatto superare la paura del futuro». Tra i segreti della felicità di Filippo c’è anche una persona speciale: «Camilla, la mia fidanzata. Lei è sempre stata decisiva nei momenti di difficoltà, mi aiuta a capire i miei errori e mi riporta alla calma quando sono troppo sanguigno». Essere da esempio anche fuori dal campo è un impegno che Carossino sente molto: «Una volta ho partecipato con la società e il Csi alla mensa dei poveri dell’Opera San Francesco di Milano: molto toccante, tra le esperienze più belle della mia vita che rifarei».

Ma la missione della Briantea84 è rivolta soprattutto alle scuole: «Parlare ai bambini mi stupisce sempre perché prima degli adulti sono capaci di andare oltre, anche all’impatto visivo della carrozzina. Vengono alle partite e ti dicono che dopo due-tre minuti di gioco per loro la carrozzina è come se non ci fosse: si appassionano realmente e vogliono tornarci. È una soddisfazione perché si parla semplicemente di sport, senza distinguere tra normodotati e paralimpici. Il pietismo poi mi ha sempre dato fastidio: è bello invece sentirsi considerati come realmente siamo e cioè professionisti che si allenano tutti i giorni per inseguire gli obiettivi di ogni sportivo». Il basket in carrozzina però ha qualcosa di più: «Non perché lo pratico, ma è quello che si avvicina di più allo sport in piedi. L’unica cosa che manca sono le schiacciate. Però quando vedi un giocatore di basket in carrozzina che tira da 3 da fermo, quando vedi determinati passaggi o azioni di gioco ti dimentichi che sei in carrozzina: questa è pallacanestro. Che tu sia in piedi o seduto non fa differenza: è questa la vera forza del basket».

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