Distrutto dai bombardamenti alleati, rimasto maceria per 30 anni. Poi la decisione di ricostruirlo. Dopo alterne vicissitudini, arriva nel 1984 l’accordo sul progetto. Tre anni per la prima pietra. E poi solo 1000 giorni per costruirlo. Nella storia del Carlo Felice di Genova, capolavoro di architettura (la platea da duemila posti è una piazza cittadina che si affaccia sul palco, scena nella scena) e di acustica firmato da Aldo Rossi e Ignazio Gardella, ci sono tutte le contraddizioni di questo paese. Era il 18 ottobre 1991 quando con
Trovatore veniva inaugurato il palcoscenico, oltre 3.000 metri quadrati complessivi tra palco e sottopalco, 574 solo quelli di quello principale. Con soluzioni scenotecniche all’avanguardia pensate da Ezio Frigerio, quattro palchi che scivolano e sprofondano, consentendo cambi di scena rapidissimi. Un torre scenica di 63 metri, un sipario di 200 metri quadrati. Croce e delizia, il Carlo Felice è un teatro tanto bello quanto oneroso da gestire. A partire dal palco. Tanto grande da obbligare ogni allestimento a diventare quasi un kolossal. «Ma quando dicono che costa troppo mi arrabbio – dice il sovrintendente Giovanni Pacor – è come pensare che mantenere un’auto di lusso sia come gestire una Cinquecento». Il problema è che il Carlo Felice sembra essere una Ferrari su una pista di go-kart.La fondazione genovese arriva da anni durissimi. Ha rischiato nel 2010 di essere la prima in Italia ad attivare la cassa integrazione. Ed è solo di questa estate una burrascosa vicenda tra il sindaco Marco Doria e sindacati sul rischio di mobilità per 50 persone dopo la mancata approvazione di un piano di contratti di solidarietà. «Il fatto è questo teatro – dice Pacor, a Genova dal luglio 2010 dopo l’esperienza come sovrintendente all’opera di Atene – costa 22 milioni di euro all’anno, mentre le entrate sono 19. Siamo il primo teatro in Italia ad aver portato i costi all’osso. Spendere meno è impossibile, al di sotto di questa soglia si supera anche quella della dignità. Difendiamo il teatro con i denti. Abbiamo tagliato gli stipendi, non si contano più gli straordinari non pagati. E siamo sotto organico, il che vuol dire minore funzionalità ma anche minore sicurezza: se una cosa la devo spostare in quattro e lo faccio in tre, i rischi aumentano». Le vicende del Carlo Felice hanno anticipato una crisi ormai diffusa. «Il debito di questo teatro al 31 dicembre 2012 – dice Pacor – era di 15 milioni di euro, la perdita patrimoniale di 10. A Firenze i milioni sono 30, 26 a Cagliari, 28 a Bologna. E se noi siamo sotto organico, a Roma e Napoli c’è sovradimensionamento. Il vero problema generale dei teatri italiani è che sono pieni di persone, a ogni livello, arrivata così, senza gavetta. Ma fare teatro è un mestiere che nessuno ti insegna. Nei teatri ci devi essere nato e aver percorso tutti i gradi e tutti i mestieri. Improvvisare è impossibile».Accanto all’opera il teatro organizza una stagione sinfonica ma anche concerti aperitivo (classici e jazz), incontri con artisti e personalità, una stagione per i ragazzi, laboratori con le scuole. Il teatro è impegnato a far diventare sempre più il Carlo Felice parte della città. Dal botteghino arrivano circa 3 milioni di euro, il 15% del bilancio. «Il pubblico l’avevamo perso – continua Pacor – ora finalmente sta tornando». La provenienza è soprattutto dall’area ligure e dal basso Piemonte, un bacino prevalentemente locale, quindi, con però una presenza dalla vicina Francia. A questi si possono aggiungere le 10mila persone circa che in tutto il mondo seguono le recite via streaming: il Carlo Felice è il primo teatro italiano ad averlo fatto. «Stiamo lavorando per incentivare il turismo musicale nella nostra città – dice Carla Sibilla, assessore alla cultura e al turismo di Genova – sappiamo che il pubblico melomane non ha problemi a spostarsi. Stiamo lavorando con alcuni tour operator per individuare le strategie necessarie». Il bacino di utenza potrebbe essere grande, se si pensa alle quantità di turisti che sbarcano a Genova con le crociere: «Vero, sono un grande pubblico potenziale – commenta – ma ci sono problemi tecnici con chi le crociere le organizza. I loro pacchetti sono spesso chiusi ed è più complicato di quanto si creda inserirsi nei meccanismi».La stagione 2013/14 prevede sette titoli d’opera e quattro balletti per 65 serate complessive. Ad aprire il cartellone mercoledì sera il verdiano
Rigoletto. La direzione era affidata a Fabio Luisi, direttore onorario del teatro genovese. La regia nel segno della tradizione di Rolando Panerai, 89 anni portati con grande grinta. La caratteristica della produzione, già andata in scena nel marzo scorso, è però quella di avere una scenografia "riciclata". «La crisi ha creato l’esigenza di scene a basso costo – racconta l’ideatore, lo scenografo Enrico Musenich – Avevo lanciato l’idea provocatoria di provare a realizzarne una con il materiale a magazzino. È piaciuta. Alcune cose le ricordavo, altre le ho trovate. Abbiamo recuperato anche parti destinate al macero. In tutto in scena ci sono elementi da quattordici allestimenti». Non è la prima volta che il Carlo Felice si inventa soluzione "alternative". Nel 2011 aveva allestito Gianni Schicchi con i mobili Ikea. In
Rigoletto il risultato, di fatto, funziona. E a parte qualche scarto stilistico tra un atto e l’altro non si avverte la pluralità delle fonti. Un esperimento riuscito, e una via interessante da ripercorrere.Il prossimo titolo, a fine dicembre, sarà
Otello, coprodotto con Valencia. Ma davvero la coproduzione può essere uno dei modi principali per risollevare le sorti del sistema lirico italiano? «Non solo è importante – dice Pacor – ma dovrebbe essere obbligatoria. Il vero problema è che lo puoi fare solo se puoi programmare a medio termine e fai circolare le idee». In Francia si programma con due o tre anni di anticipo, in Germania ancora di più. In Italia, è noto, le chiamate arrivano persino all’ultimo momento. Anche questo
Rigoletto, pur dagli esiti convincenti, è stato allestito in tempi strettissimi e con prove molto ridotte. «Programmare in anticipo in Italia è impossibile, dato che non solo non si sa quale sarà la dotazione economica del Fus per l’anno a seguire. E allora per coprodurre devi anche saper giocare un po’ d’azzardo».